AIAC NEWS n. 1 (Giugno 1994)
RITROVAMENTO A GUIDONIA DEL GRUPPO SCULTOREO CON LA RAPPRESENTAZIONE DELLA TRIADE CAPITOLINA
Il rinvenimento del gruppo scultoreo con raffigurazione della Triade Capitolina, proveniente dalla tenuta dell'Inviolata nel comune di Guidonia, reso possibile grazie al lungo e rocambolesco lavoro di investigazione, condotto dai Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Artistico, diretto dal Colonnello Roberto Conforti, costituisce se non la più importante, senza dubbio la più sensazionale scoperta avvenuta nel territorio del Lazio negli ultimi anni.
Il gruppo scultoreo è in marmo lunense venato; le divinità sono raffigurate sedute su di un unico sedile cerimoniale con gli attributi canonici: Giove al centro con lo scettro nella sinistra mancante ed il fascio di fulmini nella mano destra; alla sua sinistra è Giunone diademata e velata con scettro nella sinistra e patera nella destra mancante. Alla sua destra è Minerva con elmo corinzio, del tutto simile a Giunone cui si contrappone simmetricamente, che regge con la sinistra l'asta disposta trasversalmente, mentre il braccio destro mancante doveva essere sollevato a sostenere l'elmo nello stesso gesto che vediamo nei medaglioni degli Antonini e nel frontone del tempio di Giove Capitolino che appare sullo sfondo del notissimo rilievo co Marco Aurelio che sacrifica, murato nel primo ripiano di Palazzo dei Conservatori (176 d.C.).Tre piccole Vittorie alate acefale (la meglio conservata è quella dietro la testa di Giunone) incoronano le divinità, Giove con una corona di quercia, Giunone di petali di rosa, Minerva di alloro. Ai loro piedi gli animali tradizionalmente sacri: l'aquila, il pavone e la civetta.
La Triade Capitolina di Guidonia ha un grandissimo valore documentario, dal momento che allo stato attuale delle conoscenze, è l'unica testimonianza della Triade che ci sia pervenuta nella quasi totale interezza, costituendo pertanto una fonte preziosa per la ricostruzione del prototipo.
Il gruppo, però più che una copia della Triade che era venerata nel tempio di Giove Capitolino a Roma, è da considerare una variante di buon mestiere, che considerazioni di ordine stilistico inducono a collocare nel periodo tardo antoniniano.
La differenza consiste soprattutto nello spirito che ha ispirato il suo autore, che ha assegnato lo stesso ruolo sul piano devozionale alle tre divinità, sottolineandolo con l'impiego di un unico sedile; questo accorgimento contribuisce a creare un'atmosfera domestica da insiema di famiglia borghese, che non ha riscontro nelle altre copie della Triade provenienti dall'area municipale o provinciale.
Un unico prototipo ha costituito il modello della Triade di Guidonia e di quella che appare nei medaglioni degli Antonini (da Traiano a Marco Aurelio e Lucio Vero), dove Minerva è raffigurata nello stesso gesto di sollevare la visiera dell'elmo, ma dove le tre divinità siedono ancora su troni separati.
Dott.ssa Anna Maria Reggiani
Soprintendente archeologo per il Lazio
Alcune considerazioni sulla Triade Capitolina dell’Inviolata.
I Romani ebbero una passione sfrenata per la scultura, al punto di spendere cifre da capogiro, anche superiori a quelle miliardarie che sembra fossero disponibili per la Triade dell'Inviolata.
Plinio il Vecchio, nella sua "Historia Naturalis" racconta che Lucio Lucullo pagò un milione di sesterzi (3 o 4 miliardi) per una statua della Felicitas e che Zenodoro realizzò in Gallia una statua colossale di Mercurio per 40 milioni di sesterzi (dai 120 ai 160 miliardi di lire). Si pensi che lo stipendiò base di un legionario era di 100 sesterzi al mese.
A partire dal II sec. a.C., quando fu completata la conquista del Mediterraneo orientale, giunsero a Roma e in Italia migliaia di statue razziate in Grecia e nei regni ellenistici e poi ancora milioni di tonnellate di marmo pregiato per costruzioni e decorazioni. In un periodo in cui il costo di qualsiasi merce duplicava ogni cento chilometri di viaggio, per i Romani non era un problema importare marmo dal Portogallo, dall'Africa o dalle regioni più lontane dell'Asia. Vale a dire migliaia di chilometri. Molto probabilmente in piena età imperiale il. popolo delle statue a Roma era più numeroso di quello degli uomini.
Tuttavia occorre dire subito che se sì considera l'arte romana nel suo complesso la scultura ne rappresenta una parte assolutamente non paragonabile a quella avuta dall'architettura, ove i Romani mostrarono un genio creativo originale e grandioso.
Qualche studioso nel passato ha addirittura tentato di negare che ci sia stato uno sviluppo artistico nella scultura romana.
Naturalmente non è vero e tuttavia simili argomentazioni sì possono comprendere se si considera come avvenne l'approccio dei Romani con la scultura Greca: in pochissimi anni giunse a Roma indistintamente e contemporaneamente una quantità enorme di statue dell'epoca arcaica come di quella classica, fino alla contemporanea produzione tardo-ellenistica. Si pensi quindi all'atteggiamento di una persona digiuna di storia dell'arte che entri da sola nei Musei Vaticani e trovi tutte le opere esposte alla rinfusa e prive dì indicazioni cronologiche.
Ne derivò, anche nella scultura, quello che è per molti versi un tratto caratteristico del Romani: l'eclettismo. In sostanza essi apprezzarono, copiarono ed adattarono quegli aspetti che erano più confacenti al loro carattere ed alle loro esigenze.
Così troviamo una originalità romana per lo più nella scultura celebrativa (vedi l'Ara Pacis o la Colonna Traìana) e nella ritrattistica, esattamente la stessa cosa che accadde per le monete. Chiunque si intenda di numismatica sa benissimo che le monete greche sono eccellenti per i! valore artistico, mentre quelle romane sono di gran lunga più interessanti per il verismo dei ritratti, la ricchezza delle epigrafi, la straordinaria varietà dei rovesci: una minuziosa enciclopedia di tutti gli aspetti della vita politica, sociale, militare, religiosa ed economica, della geografia e dei monumenti e, in sostanza, un formidabile veicolo di propaganda politica e culturale.
Questo ci porta ad una considerazione ovvia per gli addetti ai lavori: gli antichi e specialmente ì Romani non possedevano l'idea de «l'arte per l'arte», che è solo moderna.. Per loro una scultura era importante più per il valore del contenuto o per la funzione decorativa che per i canoni assoluti della bellezza artistica.. Cicerone, ad. esempio, scrive ad Attico di comprargli in Grecia della statue adatte ad un Ginnasio e in un'altra occasione sì lamenta con un amico per l'avvenuto acquisto dì Mènadi, che non sapeva dove mettere.
A Pompei ed Ercolano molte sculture sono state ritrovate nella loro collocazione originale. Ebbene si può vedere che non era la qualità artistica a determinarne la collocazione, ma soltanto il contenuto. Capitava quindi che venissero accostate sculture eccellenti a copie scadenti, solo per l'affinità del tema trattato.
Nella scultura sacra naturalmente non c'è la sola funzione decorativa. Eppure proprio in essa i Romani si appiattirono maggiormente sull'arte Greca, sia dal punto di vista del contenuto (sincretismo) sia dello stile (classicismo).
Ad ogni modo il risultato finale, quello che per noi oggi è la qualità artistica ed espressiva dell'opera, dipendeva sempre e soltanto dalla personalità e dalla capacità di spesa del committente.
Chi disponeva di pochi soldi doveva accontentarsi, per il suo altare, la sua casa o la sua tomba, di sculture che trovava già pronte nelle fabbriche in gran numero di copie tirate giù affrettatamente e facilmente adattabili, con piccoli ritocchi del momento, alla sua bisogna. Chi invece disponeva di molto denaro contattava la migliore officina, si sceglieva l'artista o gli artisti migliori (spesso il lavoro era di gruppo), esponeva la sua richiesta, probabilmente pagava un congruo anticipo e, a lavoro finito, un conto salatissimo per un'opera generalmente di buona qualità.
E questo anche nel III secolo inoltrato, come dimostrano opere di altissimo livello sicuramente databili quali il sarcofago cosiddetto di Ostiliano della ex Collezione Ludovisi (251 d.C.) o l'ancor più tardo ritratto di Gallieno o la nostra Triade che sicuramente è stata commissionata per un'occasione ed uno scopo ben precisi dal Dominus dell'Inviolata.
Chiarisco di non avere l'intenzione e nemmeno la capacità dì fare qui un trattato sulla scultura romana. Il mio scopo è invece quello di arrivare ad una ipotesi di lavoro per far emergere la figura del Committente della Triade, cercando di inquadrare il contesto storico in cui l'opera fu voluta e realizzata.
Prima di passare al committente, è necessario fare un cenno alla figura dell'artista.. Probabilmente non sapremo mai il suo nome. Abbiamo visto quali spese folli fossero capaci di sostenere i Romani per le statue. Saremmo allora tentati di credere che uguale considerazione fosse riservata a coloro che le scolpivano. Invece generalmente non è cosi. Gli storici ed i letterati romani hanno citato spesso i grandi scultori greci, mentre citano pochissimo gli scultori che hanno operato a Roma, molti dei quali erano sicuramente greci.
Nessuno ci ha tramandato il nome di chi ha scolpito l'Ara Pacis di Augusto o la Colonna Traiana o di chi ha realizzato i! Marco Aurelio ed è un vero peccato perché queste opere appartengono a pieno titolo alla Storia dell'arte universale. Il fatto è che la scultura veniva considerata un lavoro manuale e quindi poco nobile. Di conseguenza lo scultore per i romani era poco più che un semplice artigiano. Così, al solito, si dava il massimo risalto alla figura del committente ed al soggetto trattato, mentre il nome dello scultore era destinato all'oblio.
Gli scultori erano invece consapevoli del loro valore e qualche, volta apponevano timidamente la loro firma sull'opera.. I committenti, d'altro canto non gradivano nemmeno questo e nel II sec. d.C. fu persino proibito di menzionare sulle statue nomi diversi da quello dell'imperatore o di chi avesse finanziato l'opera. A volte però lo scultore ha la sua rivincita. quando, committente di se stesso scolpisce il proprio monumento funebre, si rappresenta intento all'opra e parla del suo lavoro con evidente orgoglio.
Questo preambolo è necessario per introdurre alcune considerazioni di carattere storico e numismatico che a mio avviso potrebbero avvalorare un'ipotesi di individuazione: dell'occasione storica in cui venne realizzata la Triade e quindi della persona o della famiglia che la commissionò. Il fatto è che dal giorno in cui sono stato invitato alla conferenza stampa sulla Triade ritrovata non ho fatto che pensare ad essa, o meglio, alla persona, al Dominus, che quasi diciotto secoli or sono la fece scolpire, la portò, nella sua splendida villa e le celebrò i sacrifici, da solo o al cospetto di familiari, servi e clientes, molti dei quali in realtà potevano già essere Cristiani. Naturalmente queste osservazioni potrebbero non essere significative ma io spero che esse contribuiscano in ogni caso a tener viva l'attenzione sul problema, serio, del nostro patrimonio archeologico.
Non mi dilungherò sull'opera che è stata descritta da molti. Il tempo e la terra le hanno dato una patina bellissima ed un fascino incredibile. Il professor Federico Zeri l'ha autorevolmente datata alla I metà del III secolod.C. Il fatto che Giove; Giunone e Minerva siano seduti su di un unico trono già esclude che possa trattarsi di una fedele riproduzione della Triade del Tempio di Giove sul Campidoglio ove ciascuna divinità aveva la sua cella ed il suo scranno.
Questa differenza, sostanziale, già rilevata da Umberto Milizia proprio su Hinterland può essere accompagnata da altre osservazioni. Tutte le raffigurazioni note della Triade, sia stante che seduta, sembrano più sobrie: non vi sono gli uccelli sacri e nemmeno gli ulteriori elementi simbolici sulla testa degli dei (al momento poco leggibili).
Un particolare curioso di questa Triade sono le calzature di Minerva: sembrano strane pantofole, mentre Giove e Giunone hanno i classici calzari. Dall'insieme, pur nell'impostazione classicistica, traspira un gusto vagamente orientale.
È stato detto, a ragione, che i! committente di questa opera, certamente non decorativa, doveva essere un personaggio di altissimo rango, sicuramente un uomo con funzioni pubbliche, forse membro di una famiglia imperiale. Sarà allora utile rifarsi al periodo storico in cui l'opera fu realizzata, di sicuro la prima metà del III secolo d.C.
Nella I metà del III secolo cresceva inarrestabile la religione cristiana, che però solo più tardi riuscì a soppiantare un altro importante culto, quello, diffusissimo, del dio Sole e di Mitra e giova osservare che il Cristianesimo vinse definitivamente solo quando Gesù Cristo assunse per molti versi i connotati sia di Mitra che del Dio Sole, compresa la celebrazione del Natale. Ma questo meriterebbe una trattazione a parte e ci porterebbe lontano.
E i nostri antichi dei dell'Olimpo romano, allora, chi li venerava più nel III secolo?
Chi spese tanti sesterzi per far scolpire e portare all'Inviolata uri gruppo marmoreo di tal genere? Naturalmente una persona legata al potere, sacro e profano, che la Triade rappresentava, ma non necessariamente un membro delle antiche famiglie patrizie. Sappiamo bene che in piena decadenza dell'Impero romano quelli che ne subivano di più il fascino e le tradizioni erano coloro che o ne stavano fuori o che da poco ne erano entrati a far parte.
Basti pensare a ciò che scrisse su Roma Sidonio Apollinare, quando ormai Roma era in piena decadenza o agli straordinari festeggiamenti che Marco Giulio Filippo organizzò per celebrare i mille anni della fondazione dì Roma, nell'anno del Signore 248.
Filippo era nativo dell'Arabia: Edward Gibbon, che attinge alla Historìa Augusta e a Porfirio, nella sua opera“History of the declin an fall of the Roman Empire” scrive che in gioventù era stato un predone. Fece una carriera incredibile, fino a diventare Prefetto del Pretorio sotto Gordiano III. Morto Gordiano fu acclamato imperatore dai soldati nel marzo del 244.
Il 21 aprile del 248 Filippo inaugurò a Roma i ludi secolari, che prima di lui erano stati celebrati solo da Augusto, Claudio, Domiziano e Settimio Severo e che coincidevano con i mille anni dell'Urbe. Gli spettacoli ed i riti furono di una magnificenza abbagliante: gli antichi dei vennero propiziati erivissero in tutto il foro potente splendore.
L'impero era ancora grande e forse tutti si illusero che niente fosse cambiato. Ma la potenza e Io spirito romano non c'erano più. Filippo non era né Augusto né Traiano e gli antichi dei erano forse stanchi, dopo mille anni. Ecco - mi si perdoni la presunzione - ma io assocerei la Triade dell'Inviolata proprio alla figura di Marco Giulio Filippo detto l'Arabo o alla sua famiglia e dirò il perché:
1) la tecnica e lo stile coincidono con l'epoca ed anche se molti propongono una datazione più antica, tra i! 200 ed il 225; non dimentichiamo che si tratta di un'opera di carattere sacro sulla quale classicismo e tradizione debbono aver influito moltissimo;
2) l'abbondanza di elementi simbolici (e le scarpe di Minerva) fanno pensare all'Oriente e Filippo era Arabo;
3) dicevo del fascino di Roma sugli stranieri e i parvenus e Filippo era entrambe le cose;
4) la Triade come religione dei potenti di Stato e Filippo era l'Imperatore, l'uomo più potente;
5) i «Ludi saeculares» del Millenario celebrati per esaltare e far rivivere le antiche tradizioni e gli antichi dei. Quale migliore occasione per commissionare la Triade da parte di Filippo o di qualcuno a lui vicinissimo?
6) la numismatica: dopo Settimio Severo soltanto la famiglia di Filippo l'Arabo ha contemporaneamente, nelle emissioni monetarie, la raffigurazione di Giove, Giunone e Minerva, anche se mai insieme. Tra Severo e Filippo nessun Imperatore ricorda Minerva nelle monete e dopo Filippo bisogna arrivare a Gallieno per ritrovarla ancora. Inoltre, se la memoria non inganna, Filippo l'Arabo è l'ultimo imperatore che sulle monete ha il titolo di Pontefice Massimo, carica che notoriamente rappresentava la congiunzione tra potere religioso e potere temporale;
7) il luogo. Francesco Cerasoli, storico locale, nella sua opera Ricerche storiche sul Comune di Montecelio (Roma, 1890), scrive che nel territorio di Montecelio si trovano i ruderi dì una villa che fu di Filippo Arabo. Per la verità la situa presso la Selva e cioè verso Palombara Sabina. Oltre a ciò nel 1890 l'Inviolata non era comune di Montecelio. Il Cerasoli non cita la sua fonte ed io questa notizia non l'ho trovata da nessuna altra parte. Però non dimentichiamo che l'Inviolata si trova lungo l'antica strada per Montecelio.
In conclusione vorrei dire che naturalmente considero queste riflessioni come un'ipotesi, che personalmente sembra affascinante, ma nulla più. Ho presentato degli indizi ma ora ci vogliono i riscontri. Confido molto negli scavi che la Soprintendenza farà all'Inviolata. Mi piace pensare che la dottoressa Anna Maria Reggiani oltre che graziosa e preparata sia anche fortunata.
E quale maggior fortuna per l'archeologia e per la storia se dal sacello dell'Inviolata tornasse alla luce un' epigrafe dedicatoria della Triade? E magari quel nome... MARCVS IVLIVS PHILIPPVS…
Caio
NdA: questo articolo è stato pubblicato sul settimanale “Hinterland” nel 1994. Alcuni anni dopo, nel corso degli scavi effettuati dalla Soprintendenza Archeologica del Lazio sul sito del ritrovamento della “Triade Capitolina dell’Inviolata” è stata rinvenuta una testa marmorea…di Filippo, figlio di Marco Giulio Filippo. Quando si dicono le coincidenze…