della campagna, di antichi cocci e dei cambiamenti

La primavera è quasi finita ma quest'anno non si direbbe: va e viene come se fosse indecisa se portare il suo cambiamento. Ma in fondo essere diversa dalle altre primavere è di per sé un cambiamento. Quindi che importa, è pur sempre un'altra primavera...
E per me è la sessantesima ( o forse la sessantunesima? dovrei contarle, uhm..) e già so che porterà dei cambiamenti, sì.
Bisogna aver paura dei cambiamenti? Io dico di no, così come dico che non bisogna aver paura delle scelte e delle conseguenti, inevitabili, rinunce.
Let it be. Non si può aver tutto, come non si può avere qualcosa per sempre.
Stamane mi sono alzato tardi, poi sono andato in campagna a zappare i pomodori. Non è un lavoro per me, mi costa molta fatica e probabilmente non sono nemmeno bravo. Penso che se dovessi camparci morirei di fame. Però qualche volta lo faccio e quando l'ho fatto, come oggi pomeriggio, mi sento bene. Mentre zappavo ogni tanto venivano alla luce dei frammenti di ceramica romana: semplice terra sigillata, un'ansa in vernice nera, un pezzetto di aretino rosso splendente perché bagnato. Non una novità, è da quando ero piccolo che mi incuriosiscono ed una volta ci ho trovato persino un dupondio di Commodo.
Nel Piccolini si legge: Colle Pisciarello, villa rustica e frammenti figulini sul versante che guarda valle Jacolla.
Il padre di mio nonno comprò la piccola tenuta a metà dell'ottocento e ci costruì un casaletto, che adesso è quasi in rovina. Ma migliaia di anni prima c'era un'altra vita, altra gente, un'altra lingua...la verità è che la terra non appartiene a nessuno e semmai, siamo noi che apparteniamo alla terra, come coloro che furono sepolti dove io adesso pianto i pomodori e di cui ogni tanto riaffiorano frammenti minuscoli del corredo funebre: pezzetti di lucerne, di olle, di patere, sminuzzati dal tempo e dalle arature.
Ogni tanto, invece, frugando nella cantina mi capitano tra le mani cose di mio padre e di mio zio. Un coltello da caccia, una vecchia roncola, un paio di occhiali. Zio aveva un anno e mezzo di più ma se ne sono andati insieme, a distanza di un mese, tredici anni fa. Si volevano davvero bene, si aiutavano sempre tra loro e non li ho mai visti discutere. A differenza dei loro avi non erano contadini ma dedicavano alla campagna quasi tutto il tempo libero, a parte la caccia, che piaceva ad entrambi.
Sabato scorso ho ritrovato il collare di Leo III , il mio ultimo setter. Era di taglia grossa, intelligente, bravissimo. Non falliva una puntata, non si perdeva una preda abbattuta nemmeno se fosse caduta in un roveto e se c'era una beccaccia sola in tutta la selva me la tirava fuori e me la faceva levare a portata di tiro.
Ricordando queste cose l'emozione, la commozione sono inevitabili ma poi riapri gli occhi e rimane soltanto il sorriso di un bel ricordo lontano. Si cambia. Si cambiano gli amici, si cambia il lavoro, si cambiano i compagni di strada, si cambiano i sentimenti. E non bisogna avere paura.
Allora, pensando a questo mi è venuta in mente una vecchia canzone di Jimmy Fontana.
Però ho preferito mettere la versione di Baglioni. In fondo, più o meno, ha la mia età.