giovedì 21 febbraio 2008

20 febbraio 1950


Sono andato a trovare mia madre, stasera. E' stata contenta, mi aspettava anche se non era sicura che andassi.


Ci siamo seduti in cucina, mi ha fatto il caffè, abbiamo parlato un po'...dei suoi 18 anni, di quando sono nato io, di quel lunedì, 20 febbraio 1950.


E mi ha raccontato una cosa che non sapevo, che non mi aveva mai detto. Di come mio padre non l'avesse mai lasciata sola, dal sabato sera in cui cominciò il travaglio del parto al lunedì alle 13,30 ora in cui sono nato.


Ho sempre pensato a questa cosa del papà che assiste al parto come ad una cosa straordinariamente moderna, alla quale io, quando sono nate le mie figlie, non mi sono sentito di aderire.


Adesso, immaginare mio padre, che era così discreto e riservato, teneramente vicino alla sua giovane sposa in un momento tanto importante per entrambi è un fatto che mi riempie di commozione.


Eppure lo sapevo che il loro dialogo, la loro unione cominciata già anni prima che io nascessi, non si è mai interrotta ed ancora continua anche se fisicamente lui non c'è più.


Stamane in ufficio mi hanno festeggiato.


In realtà speravo che la cosa passasse in sordina, mi sentivo per nulla tonico ed ero abbastanza di malumore, per diversi motivi. Ma la speranza era vana, i miei dati stanno scritti su tutti i contratti e c'è sempre qualcuno che se ne ricorda.


Così come sono arrivato mi hanno fatto gli auguri, anche scherzando un po'.


Allora ho mandato a prendere una torta e lo spumante. Abbiamo festeggiato. Mi ha fatto bene.


Nel mentre mi ha chiamato mia sorella, per dirmi che la mia unica nipote si era appena laureata con lode. Brava Elena, mi hai fatto davvero un bel regalo di compleanno, continua così.


Dopo il lavoro sono andato in campagna. Oggi l'aria si è addolcita, si stava bene. Ho cominciato a potare e legare la vigna ma tanto per fare qualcosa, perché lo so che il vino non lo farò, non lo so fare.


Ma si stava bene, io coi miei pensieri, con il ricordo di mio padre, di mio nonno, entrambi morti in febbraio. Che strano, pensavo che in fondo febbraio è un bel mese, sia per nascere che per morire. Ci sono le gemme già gonfie, ci sono già i mandorli fioriti ma è ancora inverno, l'ultima stagione.


Quando sarà...vorrei morire in febbraio, tanto per fare conti pari ma...con calma, neh.


Ecco...anche la grande quercia di mia madre se ne è andata in febbraio ma aveva qualche secolo, più di qualche secolo.


così...va bene!!;)


giovedì 7 febbraio 2008

Io non amo i gatti



Infidi, dispettosi, indipendenti intraprendenti, li cerchi e non li trovi, li chiami e non vengono. 


Fanno la pipì dappertutto, se ne fregano delle buone maniere, ti guardano e ti chiedono "ma chi cavolo sei?".


Io non li ho mai amati, non li ho mai voluti, non li ho mai avuti.


Vuoi mettere con i cani?


Poi è arrivato Costantino.



E' stato quattro o cinque anni fa, prima di sistemare i casaletti in campagna.


Era il terzo di una nidiata, li trovai lì, sotto la tettoia. Erano piccoli, non proprio neonati ma piccoli.


Cominciai a dar loro da mangiare, quando mi ricordavo, quando andavo.


Incredibilmente non morirono, crescevano e cominciai a chiamarli per nome. Nomi romani, ricordo. Dopo la prima estate due non li trovai più.


Pace, non me la presi.


Ma lui era lì, bianco e nero, un po' come me, solo...più giovane.


Non mi ricordo più come l'avevo chiamato, per un motivo semplice: avevo iniziato i lavori, ogni giorno c'erano operai e muratori.


Tra essi Nicola, che se l'era fatto amico, lui prima di me.


E l'aveva ribattezzato: Costantino. E gli dava pure retta, il puzzone!!


Lo chiamava...e lui arrivava.


Costantino è adesso il vero padrone. Va e viene quando e come vuole. Un po' da me, un po' da Nicola che nel frattempo si è stabilito nella casa colonica del mio vicino.


Mangia e gira. Più che un gatto è un torello e credo che abbia un bel po' di gatte, nel giro di 2 km;)


Poi ne sono arrivati altri tre, un maschio e due femmine. Riconoscono la supremazia di Costantino ma comunque stanno lì, anche loro.


Giocano, corrono, mangiano, dormono, mi entrano in casa, mi entrano in macchina, cacciano le lucertole e ogni tanto un topo


...vivono.


Io non amo i gatti, non li ho mai amati.


Ma quando arrivo li cerco, li chiamo, li vedo... sorrido.


mercoledì 6 febbraio 2008

ScLLA SABBIA

Che il bello e l'incantevole
Siano solo un soffio e un brivido,

che il magnifico entusiasmante
amabile non duri:
nube, fiore, bolla di sapone,
fuoco d'artificio e riso di bambino,
sguardo di donna nel vetro di uno specchio,
e tante altre fantastiche cose,
che esse appena scoperte svaniscano,
solo il tempo di un momento
solo un aroma, un respiro di vento,
ahimè lo sappiamo con tristezza.
E ciò che dura e resta fisso
non ci è così intimamente caro:
pietra preziosa con gelido fuoco,
barra d'oro di pesante splendore;
le stelle stesse, innumerabili,
se ne stanno lontane e straniere, non somigliano a noi
- effimeri-, non raggiungono il fondo dell'anima.
No, il bello più profondo e degno dell'amore
pare incline a corrompersi,

è sempre vicino a morire,
e la cosa più bella, le note musicali,
che nel nascere già fuggono e trascorrono,
sono solo soffi, correnti, fughe
circondate d'aliti sommessi di tristezza
perché nemmeno quanto dura un battito del cuore
si lasciano costringere, tenere;
nota dopo nota, appena battuta
già svanisce e se ne va.

Così il nostro cuore è consacrato
con fraterna fedeltà
a tutto ciò che fugge
e scorre,
alla vita,
non a ciò che è saldo e capace di durare.

Presto ci stanca ciò che permane,
rocce di un mondo di stelle e gioielli,
noi anime-bolle-di-vento-e-sapone
sospinte in eterno mutare.
Spose di un tempo, senza durata,
per cui la rugiada su un petalo di rosa,
per cui un battito d'ali d'uccello
il morire di un gioco di nuvole,
scintillio di neve, arcobaleno,
farfalla, già volati via,
per cui lo squillare di una risata,
che nel passare ci sfiora appena,
può voler dire festa o portare dolore.
Amiamo ciò che ci somiglia,
e comprendiamo
ciò che il vento ha scritto
sulla sabbia.


Hermann Hesse da La felicità, versi e pensieri