e dei fragorosi silenzi...
Raccontano che Michelangelo dopo aver terminato il Mosè...tanto lo trovò bello e perfetto che pretendeva parlasse. Ma il marmo di Carrara, notoriamente non parla, come tutti i marmi, del resto. E allora gli diede una martellata sul ginocchio.
Perché non parli?
Però le martellate, non funzionano, coi marmi come con le persone. Men che mai con le persone. Parlo di martellate metaforiche, ovviamente. Io non ho mai picchiato nessuno. Non le ho mai date, non le ho mai prese. Ho pareggiato. Metaforicamente invece a volte ci provo a far parlare il mio Mosè di turno. Con le parole, con le azioni con le provoc-azioni.
Ma se Mosè non vuol parlare, allora non parla. o forse non può. Semplicemente.
Prendo lo spunto da Virginia, che dice che le fanno più paura i silenzi delle parole. E' vero. Anche a me. Il silenzio lo amo, quando lo scelgo, quando mi va di stare da solo con me stesso, a riflettere. E meglio se nella mia campagna o in mezzo a un bosco o davanti al mare.
sola beatitudo beata solitudo
Ma quando il silenzio della solitudine non lo cerchi...allora è davvero terribile.
Socrate pensava di aver trovato, con la sua filosofia, il modo di tirar fuori le idee, e conseguentemente le parole, dalla gente. Era quindi fiducioso che esse...comunque ci fossero. E chiamò la sua dottrina " maieutica", dal mestiere della madre, che faceva la levatrice.
Pensava quindi che -come il parto- pensare e poi parlare fosse sì, difficile e doloroso ma che alla fine...accade.
Questo concetto fu ripreso e sviluppato da Platone e poi dai neoplatonici, nel Rinascimento. Per questo Michelangelo era sicuro che le sue statue fossero già dentro il marmo. Bastava tirarle fuori, a suon di scalpello, togliendo via il materiale superfluo e...oplà. Ecco Mosè.
Ma torniamo sempre lì. Scalpello e martello tirano fuori una statua dal marmo. Le parole no. Non si è mai visto, non si è mai sentito. A volte, poi, non escono, semplicemente perché...non ci sono.
Cosa serve allora per fare questo miracolo? Io non so. O forse lo so. Provo a dirlo.
Ci vuole pazienza, dolcezza, amore, rispetto. E ci vuole coraggio. Coraggio...di che? Di comprendere e sopportare ciò che potrà scaturire, rotto il silenzio.
Perché in realtà spesso i silenzi, seppure fragorosi, ci fanno comodo. E' difficile ammetterlo ma spesso...è così.
Cosa scegliere, allora? Il coraggio di aspettare e sopportare... o la fuga della noncuranza?
Io questo...mica lo so:)