domenica 30 gennaio 2011


Parolaio Monticellese
sive
Cose di casa mia



 



Sabato 29 gennaio 2011 alle ore 17 nel Teatro Comunale “Dario Vittori” in via Cardinale Antonelli a Montecelio si è tenuta la presentazione del libro Parolario Monticellese di Filippo Greggi.



L’iniziativa si svolge in occasione del centenario dell’inaugurazione della pubblica illuminazione a Montecelio (29 gennaio 1911).



Dopo il saluto del Sindaco di Guidonia Montecelio sono intervenuti: Ugo Vignuzzi, Accademico della Crusca, Vincenzo Luciani, poeta in lingua e in dialetto, Alfonso Masini, studioso di storia locale, Maria Sperandio, Gruppo Archeologico Latino.



Quest’ultima opera di Filippo Greggi, frutto di un lavoro decennale, consiste in: un articolato dizionario monticellese / italiano con allegate due appendici relative ai giochi per ragazzi e a centinaia di personaggi caratteristici del paese ricordati dalla memoria popolare. 



Il mio intervento



Sono qui prima di tutto per testimoniare affetto e stima verso Filippo Greggi, nati sui banchi delle elementari e mai venuti meno.
Ho visto con piacere che ha pubblicato nel Parolaio una foto della nostra classe alle medie,  era 50 anni fa. E questo rende inevitabile una riflessione sul tempo che passa, su come si cambia, su come si invecchia.
All’invecchiamento non c’è scampo. O meglio, ce n’è uno solo: morire giovani. Ma insomma, va da sé che è un rimedio peggiore del male. La passata gioventù non si recupera, non si compra, non si baratta, nemmeno con l’anima, propria o altrui e chi non si rende conto di questo va incontro al ridicolo ed alla riprovazione della gente.
Ma ci sono alcuni vantaggi nell’invecchiare perché a fronte della naturale decadenza fisica si può anche migliorare. Migliorare nell’esperienza, nella saggezza, nella capacità di capire gli altri, le cose del mondo e relazionarsi con loro.
E’ parecchio tempo che Filippo si cimenta nello studio della lingua e della tradizione monticellese, seguito ed incoraggiato da tutti noi. Ed ha sempre migliorato e questo libro di cui parliamo stasera ne è la testimonianza evidente. Ci ha messo passione, cura, pazienza, curiosità…amore. Il risultato è sotto gli occhi di tutti ed è un libro utile, ben curato, con una bella veste grafica. Ed è divertente.
Qualsiasi persona con un minimo di cultura sa che il dono della parola ancor più della postura eretta e del pollice opponibile è alla base del successo della specie homo sapiens sapiens sulla faccia della terra.
Per i credenti la parola è ciò che più abbiamo di divino come testimonia il Vangelo del nostro Santo Protettore Giovanni:
In principio erat Verbum et Verbum erat apud Deum et Deus erat Verbum.
Le parole dei dialetti non sono meno importanti delle parole consacrate nelle grandi koiné letterarie. Certamente, non tutti i dialetti hanno avuto il loro Carlo Porta o il loro Giuseppe Gioacchino Belli ma noi siamo stati fortunati: c’è poesia monticellese, come è stato qui ricordato, c’è letteratura monticellese, c’è storia monticellese. Ci sono e ci saranno ancora perché i semi del passato hanno prodotto buone piante. E ci sono studiosi ed autori prolifici, come Filippo e la cerchia di coloro che io considero tra i miei migliori amici.
Il mondo, la società, le lingue, stanno cambiando vertiginosamente ed il punto cruciale di questo cambiamento alcuni studiosi lo vedono nella distinzione tra immigrati digitali e nativi digitali.
Niente è più come prima dopo l’avvento di internet. Le idee, le immagini, i media di qualsiasi tipo viaggiano ormai senza confini ad una velocità pazzesca, impensabile fino alla fine del 900. Con questo nuovo strumento quelli della mia generazione si sono misurati a volte con piacere e con qualche risultato ma sempre con fatica. I giovani no. E’ il loro mondo, ci sono nati e costituisce il mezzo e la fonte principale del loro relazionarsi.
E questo li rende diversi da noi.
Bisogna forse avere paura dei cambiamenti? No, io dico di no. Però bisogna essere pronti ad affrontarli, avere i mezzi per affrontarli.
La nostra generazione, Filippo, noi che non siamo ancora vecchi ma ci stiamo avviando per quella strada, è stata assai fortunata. Abbiamo vissuto il più lungo periodo di pace e di prosperità che l’Italia abbia mai avuto dall’età degli Antonini. Abbiamo raccolto i frutti che faticosamente i nostri laboriosi genitori avevano seminato, abbiamo avuto buoni maestri e li abbiamo posti a modelli di vita. E non ci è andata male.
Adesso ci rimane un debito morale e d’onore: Far sì che queste nuove generazioni così tecnologiche, così veloci, così bombardate da una massa indistinta ed immensa di comunicazioni non perdano la bussola del loro divenire e non si trovino smarrite.
Dobbiamo trasmettere loro la cultura di chi ci ha preceduti, far sapere come era fatta la coppa con la quale i loro avi attingevano alla fonte della vita affinché sviluppino l’amore ed il senso di appartenenza per queste antiche pietre. Lo dobbiamo anzitutto a loro perché siamo noi che li abbiamo messi al mondo e poi lo dobbiamo a chi ci ha preceduto, a chi ha creato prima di noi la bellezza di questo paesaggio, dei monumenti, della nostra lingua.
Il nostro Paese ma anche l’Europa, sta vivendo un periodo difficile e questo è sotto gli occhi di tutti. Tempo fa al mercato a Guidonia ho comprato un apparecchietto che si connette al pc tramite la porta usb ed ha una ventina di terminali a cui possono essere attaccati telefonini, pc, macchine fotografiche, ecc.. L’ho pagato 2 euro, il costo di 10 sigarette. Ovviamente è cinese. Il che significa che qualcuno l’ha fabbricato, in Cina, che qualcun altro l’ha portato in Italia, l’ha dato al grossista, il grossista l’ha dato all’ambulante marocchino e questo l’ha venduto. E tutti ci hanno guadagnato. Sul piano industriale, fino a quando nel mondo ci sarà una massa sterminata di persone che lavorano per meno di un dollaro l’ora in condizioni di lavoro insalubri, noi saremo perdenti. Non abbiamo petrolio, non abbiamo altre materie prime.
Però abbiamo, in quantità, delle cose difficili da copiare: la bellezza del paesaggio, i monumenti, le opere d’arte, la letteratura, la poesia, la immensa cultura che ci hanno tramandato i nostri avi così geniali.
Ed è l’amore ed il rispetto per queste cose che dobbiamo trasmettere ai giovani affinché le valorizzino ancora meglio di quanto abbiamo saputo fare noi e ne facciano la fonte del loro benessere e della loro vita.
Tu Filippo, con il tuo studio, con la tua passione, con questo libro, lo stai facendo e tutti noi te ne siamo grati.
Alfonso 

 







 

lunedì 24 gennaio 2011


JONATHAN SWIFT SOMERS
E.L.Masters



After you have enriched your soul
To the highest point,
With books, thought, suffering,
the understanding of many personalities,
The power to interpret glances, silences,
The pauses in momentous transformations,
The genius of divination and prophecy;
So that you feel able at times to hold the world
In the hollow of your hand;
Then, if, by the crowding of so many powers
Into the compass of your soul,
Your soul takes fire,
And in the conflagration of your soul
The evil of the world is lighted up and made clear --
Be thankful if in that hour of supreme vision
Life does not fiddl 
e




 

lunedì 17 gennaio 2011


Bon voyage

 







 




 



Hai visto, sei tornata, è stato facile
ed ero qui, ancora al tuo cospetto.
Hai visto, sei tornata, è stato bello
ma questo lo sapevo e lo sapevi.
Hai respirato sopra la mia bocca,
 il tuo seno sfrontato  ho accarezzato.

E non mi hai chiesto se mi sei mancata
e non ti ho detto se ti ho aspettato.
Però ti ho detto che amo la tua pelle
e tu che non disdegni le mie labbra.
Poi non c'è stato bisogno di parlare.
A cena sorridevi,  ed hai bevuto vino,
io sorridevo toccandoti la mano.
Sei andata via un po' come la nebbia.
Io sono qui, nel caso torni ancora.

Amos Farmer

 




 



 

martedì 4 gennaio 2011


Orazio, la Sabina e...
come prendere la vita



 







 



 Carm., I, 9



Vides ut alta stet nive candidum
Soracte nec iam sustineant onus
silvae laborantes geluque
flumina constiterint acuto.
Dissolve frigus ligna super foco
large reponens atque benignius
deprome quadrimum Sabina,
o Thaliarche, merum diota.
Permitte divis cetera, qui simul
stravere ventos aequore fervido
deproeliantis, nec cupressi
nec veteres agitantur orni.
Quid sit futurum cras fuge quaerere, et
quem Fors dierum cumque dabit, lucro
adpone, nec dulcis amores
sperne puer neque tu choreas,
donec virenti canities abest
morosa. Nunc et campus et areae
lenesque sub noctem susurri
composita repetantur hora,
nunc et latentis proditor intimo
gratus puellae risus ab angulo
pignusque dereptum lacertis
aut digito male pertinaci.

 













 




Odi, I, 9

Laggiú si staglia il Soratte, vedi?,
con candido manto di neve.
Stremati, faticano i rami a reggere il peso.
Per il gelo tagliente, fiumi e ruscelli si sono rappresi.
Dissolvi il freddo nutrendo la fiamma con larga   
provvista di ceppi e senza risparmio
attingi, Taliarco, vino di quattr'anni,
puro, dall'orcio sabino a duplice ansa.
Il resto, rimettilo in mano agli dèi: bastò
che abbattessero i venti in lotta sul gran ribollire
marino, perché d'incanto i cipressi
non piú s'agitassero, e gli orni vetusti.
Che cosa t'attenda in futuro, rinuncia a indagare:
qualunque altro giorno t'aggiunga il destino,
tu devi segnarlo all'attivo.
Sei giovane, non disprezzare gli amori gentili, le danze,
fin tanto che il tuo verdeggiare rimane lontano da uggiosa
canizie. Il campo sportivo, adesso, e le piazze,
e sull'imbrunire, allora che s'è concordata,
di nuovo uno scambio di dolci sussurri   
e il riso che, lieto zampillo, tradisce la giovane
donna appiattata in un angolo oscuro
e, pegno d'amore, il monile, sfilato da un braccio,
da un dito che solo per finta rilutta.