mercoledì 29 aprile 2009

La stagione delle piogge



Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove sui mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
sui ginestri folti
di coccole aulenti,
piove sui nostri volti
silvani,
piove sulle nostre mani
ignude,
sui nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
l'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell'aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come un foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall'umida ombra remota.
più sordo e più fioco
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancora trema, si spegne,
risorge, treme, si spegne.
Non s'ode voce del mare.
Or s'ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta; ma la figlia
del limo lontane,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i malleoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove sulle nostre mani
ignude,
sui nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione


G. D'Annunzio


 


Oggi ne ho presa tanta, in mezz'ora. Colpa mia che sono uscito dall'ufficio durante la pausa pranzo per andare a prendere degli attrezzi in campagna. Veniva giù fitta fitta e non c'era modo di evitarla, visto che mi ero dimenticato l'ombrello.


Così mi sono bagnato ben bene e adesso ho il mal di gola. Vabbeh, passerà.


Al solito la Protezione civile ha dichiarato lo stato d'allerta nella zona vicino all'Aniene. Speriamo non risucceda come ad ottobre e a dicembre, abbiamo già dato.


Il fatto è che questa è la stagione delle piogge ed è quindi quasi normale che sia così. Solo che forse ce ne eravamo dimenticati, già.


Ricordo un maggio lontano e piovosissimo, quello del 74. Me lo ricordo bene  perché avevo comprato la Renault 5 nuova, la tenevo parcheggiata sotto casa e...oh piovve tutto il santo mese un giorno dopo l'altro. Non smetteva mai. Ma il mio paese natio è in alto, poggia su due colline gemelle e non si allaga mai. Invece il resto del territorio comunale no, è pianeggiante. Anzi, un quarto del territorio non è altro che il fondo di un antico lago, prosciugatosi non più di 3000 anni fa. Di questo rimane memoria nei toponimi: via Pantano, via Lago dei Tartari ecc. se dovesse tornare un periodo più freddo e piovoso, come è stato nel '700 queste zone forse non tornerebbero ad essere un lago come nell'antichità. Ma un pantano sì. Solo che adesso ci vivono dentro alcune migliaia di persone...ehm.


Il fatto è che l'uomo negli ultimi anni sembra aver dimenticato di quanto sia forte la natura e di come sia facile, per essa, riprendersi in un colpo solo quello che le abbiamo sottratto. In primis il territorio.


Approposito, i Tartari del nostro ex Lago non sono quelli di Gengis Khan ma delle formazioni calcaree che si sviluppano e crescono nelle nostre acque, a causa del carbonato di calcio abbondantissimo. Come il travertino, del resto.



Bene, ho finito. Ma che post è, questo? Boh, sarà la pioggia!


buona serata a chi legge:)

lunedì 27 aprile 2009


Apparition.


La lune s'attristait. Des séraphins en pleurs
Rêvant, l'archet aux doigts, dans le calme des fleurs
Vaporeuses, tiraient de mourantes violes
De blancs sanglots glissant sur l'azur des corolles.
- C'était le jour béni de ton premier baiser.
Ma songerie aimant à me martyriser
S'enivrait savamment du parfum de tristesse
Que même sans regret et sans déboire laisse
La cueillaison d'un Rêve au coeur qui l'a cueilli.
J'errais donc, l'oeil rivé sur le pavé vieilli
Quand avec du soleil aux cheveux, dans la rue
Et dans le soir, tu m'es en riant apparue
Et j'ai cru voir la fée au chapeau de clarté
Qui jadis sur mes beaux sommeils d'enfant gâté
Passait, laissant toujours de ses mains mal fermées
Neiger de blancs bouquets d'étoiles parfumées.


Stéphane Mallarmé.



APPARIZIONE


La luna s'attristava. Serafini piangenti,
L'archetto alzato, in sogno, dalle viole morenti
Traevan, nella calma di vaporosi fiori,
Bianchi singhiozzi a petali dagli azzurri pallori.
- Era quel santo giorno del nostro primo bacio.
La fantasia, martirio cui da sempre soggiaccio,
S'inebriava sapiente al profumo di tristezza
Che pur senza rimpianto lascia e senza amarezza
La vendemmia d'un sogno al cuore che l'ha colto.
Dunque erravo, alle vecchie pietre l'occhio raccolto,
Quando per via, col sole sui capelli splendente,
E nella sera, tu m'apparisti ridente,
Ed io vidi la fata dal cappuccio di luce
Che un tempo sui miei sonni di fanciullo felice
Già passava, lasciando, dalle sue mani belle,
Nevicar bianchi fiori di profumate stelle.


http://www.youtube.com/watch?v=FDfnydQaNL4

domenica 26 aprile 2009

XXV Aprile



I miei genitori si sposarono il 25 aprile di 60 anni fa. Stasera, parlando al telefono con mamma, ho sentito nella sua voce la commozione per il ricordo di quel giorno lontano ed irripetibile.


Io sono nato in Passeggiata 25 aprile, una casetta al primo piano, dove ho vissuto un anno, abbellita da un cavalluccio di marmo che qualcuno aveva murato sotto la finestra. C'è ancora. Quando mi capita di passarci sotto per salire al Parco del San Michele mi soffermo a guardarla. Non so chi vi abiti adesso ma mi sembra di scorgere dietro il vetro il visetto di un bimbo moro e sorridente.


Nel mio piccolo " particulare " questi sono i legami che ho con quella data fatidica.


Ben altro e ben più importante è il significato di quella data per la Nazione, per tutti gli Italiani, per il cambiamento che portò e sussiste ancora, consacrato nei valori della Carta Costituzionale. La Liberazione dal Fascismo e dall'oppressore nazista.


Ho visto che oggi il Capo del Governo si è deciso, finalmente, a festeggiarla, ad esaltarne il valore. Emmenomale, meglio tardi che mai.


Oggi è stata una bella giornata ma pensando a tutta la pioggia che ha fatto ieri non sono andato in campagna. Mi sono alzato tardi, ho mangiato e poi nel pomeriggio, insieme a mia moglie, sono andato in centro a vedere la mostra sui Sabini allestita al Vittoriano.



Ne valeva veramente la pena, perché è davvero ben strutturata ed allestita e credo che sia la prima volta che importanti reperti dell'Area Sabina, alcuni dei quali scoperti solo di recente, vengono mostrati insieme.


Era gente tosta, quella Sabina, forse discendente dagli Spartani ma anche ricca ed amante del buon vivere. E certamente i ruvidi Romani capeggiati da quel mezzo bandito di Romolo si avvantaggiarono assai nel mescolare il loro sangue a quello Sabino.


Tra gli oggetti esposti uno che non avevo mai visto dal vivo, un "lituus" una sorta di bastone ricurvo, in ferro, che era il simbolo ed il principale strumento dell'aruspice, una specie di sacerdote delegato ad interpretare i presagi celesti ed il volo degli uccelli. In effetti sembra che la fama degli aruspici sabini fosse superiore a quella di quelli romani e persino di quelli etruschi.


Bella mostra, completata da opere d'arte che nei secoli hanno illustrato uno dei miti più famosi del mondo , il Ratto delle Sabine.


Merito della Provincia di Rieti che ha fortemente voluto questo evento. Merito degli organizzatori tra cui Giovanna Alvino, che conosco bene perché prima di diventare responsabile della zona sabina della soprintendenza archeologica del Lazio ha svolto la sua funzione nella zona di Tivoli, Guidonia e Mentana.


Poi siamo saliti sulle terrazze del monumento a Vittorio Emanuele II, usando l'ascensore che è stato installato di recente. E anche qui, ne valeva la pena. Né io né mia moglie c'eravamo mai saliti lassù. Io da allievo ufficiale avevo fatto la guardia all'Altare della Patria, che però è di sotto, in cima alla scalinata. Dalle terrazze delle quadrighe si gode una vista stupenda su tutta la città ed i sui monumenti. I fori imperiali, il Palatino, il Campidoglio, il Colosseo, il Teatro di Marcello, gli archi di Trionfo, le colonne Traiana ed Antonina, San Pietro, il Pantheon, villa Borghese, piazza del Popolo, i Lungotevere. Non ti stancheresti mai di guardare.


 E non solo, lo sguardo corre lontano, per km e km. Ad est il monte Lucretile con davanti i monti Cornicolani tra cui il mio paese natio, Montecelio e poi a destra Tivoli ed i Castelli e poi l'Eur col suo Colosseo quadrato e poi il Gianicolo, Monte Mario e in lontananza il Soratte, i monti della Sabina, i monti della Laga.


Metre scattavo alcune foto un gabbiano è venuto ad appolaiarsi sul parapetto, proprio davanti a me. Pareva mi dicesse " embeh, fotografami, no?"


In basso, attorno al Monumento una folla serena e festosa dovunque, da Piazza Venezia al Corso, a via dei Fori imperiali.


E' stata una giornata serena. E forse è stata anche la prima volta che il 25 aprile viene visto come la Festa di tutti, vincitori e vinti. Finalmente tutti " liberati" dai fantasmi e dai rancori del passato.


Io l'ho vissuta così e spero che sia vero.


venerdì 10 aprile 2009

Immota Per Hoc Signum Manet



Me lo ricordo quando scoprii l'Abruzzo. Era il 1967, mio padre aveva comprato la sua prima macchina ed esaudì il mio desiderio di portarmi a caccia al Fucino di cui mi aveva tanto parlato.


Fu una bella giornata, arrivammo prima dell'alba e faceva freddo, cacciammo le quaglie poi facemmo colazione ai margini di un  grande campo di carote. Ricordo che ne raccolsi un paio, le pulii con il coltello e me le mangiai con grande gusto poi cominciò a fare un gran caldo e allora salimmo a Celano e mi fece vedere l'imponente Castello ricostruito dopo il terremoto di Avezzano.


E' stato un amore a prima vista per me che conoscevo quei luoghi dagli scritti di Silone, un amore che non è mai cessato nel corso dei 42 anni successivi.


Infinite volte ci sono tornato negli anni e per mille motivi: a scalare la Maiella per cacciare coturnici e poi in vacanza al mare tra la fine degli anni 60 ed i primi 70 e poi ancora  a L'Aquila quando feci i campionati militari di tiro con la pistola olimpionica e poi le visite agli scavi di Alba Fucens, quasi una piccola Pompei sui monti e i sette anni di seguito, a luglio, nella stupenda Pescasseroli dove visse Benedetto Croce e tutte le volte che sono tornato a L'Aquila, da solo o con i miei con l'immancabile visita alla Perdonanza e l'altrettanto immancabile pranzo alla Vecchia Posta o alla Mimosa...chissà se ci sono ancora, accidenti e poi il sogno di avere una casa sull'Altopiano delle Rocche, coronato solo in parte negli anni tra il 94 ed il 96 in cui avevo affittato una bellissima casetta di pietra a Rovere, tra Ovindoli e Rocca di Mezzo.


Che bei ricordi che ho di Rovere: la quiete agostana, le passeggiate sul Sirente a raccogliere porcini, le discese  della bellissima e fresca gola, giù, fino a Celano ed il ritorno, faticosissimo a piedi ma così bello. E Rovere mi ha regalato quello che è l'ultimo bellissimo ricordo che ho di mio padre. Infatti nel giugno del 96 a malincuore avevo deciso di non prorogare l'affitto di quella casa, perché la nascita della seconda figlia e tanti altri impegni ci impedivano di frequentarla.


In un paio di viaggi avevo portato via quasi tutte le cose che vi tenevamo. Restava da prendere qualcosa e restituire le chiavi. Chiesi a papà se gli faceva piacere accompagnarmi. Altroché, mi disse ed era così contento. Così in quella bella mattina di inizio estate ci mettemo in viaggio come avevamo fatto la prima volta, tanti anni prima. Era così allegro, durante il viaggio ed io così contento di poter passare un giorno intero con lui.


Il discorso cadde su quella pima volta, per me, al Fucino. Mi disse " Eh, allora l'autostrada non c'era e la mia 850 mica correva come il tuo turbodiesel!" Ed io " papà, ci siamo io e te, ancora insieme. " E non potevo sapere quanto poco sarebbe durato quell' " ancora".


In poco più di un'ora eravamo già a Celano. Poi volle fermarsi ad Ovindoli dove sperava di incontrare qualcuno dei suoi vecchi amici di lì ma non ne trovammo. Comprammo della carne, poi percorremmo l'altopiano fino a Rocca di Cambio, lasciandoci dietro Rovere e Rocca di Mezzo. Lassù ci fermammo parecchio in un bar a rimirare tutta la bellissima valle dove fioriscono i giacinti.


Poi andammo a casa, gli presentai i padroni che vivevano al piano di sotto. il signor Filippo ci regalò delle uova fresche e mi disse che aveva affittato un altro appartamento a degli archeologi che stavano scavando tra le rovine della rocca.


In casa faceva fresco, accesi il camino e mentre si formava la brace impacchettammo le poche cose che dovevo portare via. Poi mangiammo, tranquillamente seduti parlando un po' di tutto.


Dopo pranzo salimmo alla Rocca ed io mi soffermai a guardare le trincee di scavo degli archeologi. Ma essendo domenica non c'erano, mi sarebbe piaciuto parlare di archeologia medioevale che conosco così poco. In cima alla rocca da alcuni anni la devozione degli abitanti ha posto una gigantesca statua di marmo della Madonna che guarda l'altopiano in posa protettiva. Lì scattai delle foto, le ultime che ho di mio padre, quelle che amo di più. Poi, prima di sera siamo venuti via. Io un po' triste perché sapevo che almeno quella estate non ci sarei tornato, lui che si mangiava il paesaggio con gli occhi.


Aveva quasi 74 anni ma non li dimostrava. Non avrei mai creduto che di lì a pochi mesi se ne sarebbe andato, per sempre.


Ma quel giorno e quei luoghi li porto nel cuore e ci sono tornato qualche volta ed anche mia madre, anni dopo è voluta salire lassù a vedere quella madonna in cui lei crede, a dire una preghiera per il suo Deves.


Adesso l'Abruzzo è orribilmente ferito ma credo che ciascuno abbia visto in tv come sia forte e sereno e composto il carattere degli Abruzzesi, che, tra l'altro nel mio comune sono quasi un quarto della popolazione ed hanno perso a causa del terremoto tanti parenti e beni materiali.


Non si può non amare quei luoghi e quella gente. Non si può.


Ho intitolato questo post con il motto de L'Aquila:  IMMOTA PER HOC SIGNUM MANET.


L'ho fatto come omaggio alla fermezza degli Abruzzesi ma anche come auspicio. L'Aquila deve risorgere, con i suoi monumenti e deve risorgere lì, costi quel che costi nessuno pensi di abbandonarla in rovina per farne una nuova. L'Abruzzo merita questo.


http://www.youtube.com/watch?v=L4tpM6H4ylg