giovedì 15 dicembre 2005

Andrea Mulas, Il Cile di Allende e la politica italiana: il compromesso storico. Manni editore



 



Recensione, pubblicata in Annali della Associazione Nomentana di Storia ed Archeologia anno 2005- XI



Giove, sotto forma di toro, rapisce Europa


Montecelio, Antiquarium comunale, mosaico


da villa romana in via Pantano


http://www.associazionenomentana.it/



 




 



Andrea Mulas è un giovane latinoamericanista dell’Università degli Studi di Camerino che si è laureato con una tesi su Il Cile di Allende e la politica italiana: il compromesso storico. L’eccellente ricerca, vincitrice della Borsa di studio bandita dalla Fondazione Istituto Gramsci di Roma è fondata, in parte, sugli archivi inediti della Fondazione Basso, della Bertrand Russel Peace Foundation e su numerose testimonianze dei collaboratori di Allende e di Berlinguer. Il lavoro -che Mulas ha continuato ad approfondire- analizza l’esperienza cilena della transizione al socialismo della Unidad Popular del Presidente Salvador Allende (1970-1973) che, con i suoi meriti e limiti, rappresenta un aspetto fondamentale per la comprensione della strategia berlingueriana del “compromesso storico”, nodo centrale intorno al quale si sviluppò tutta la complessa politica italiana degli anni 1973-1984. Si tratta di un’analisi comparata che permette di cogliere delle chiavi interpretative, riferirle alla realtà politica italiana e capirne le eventuali analogie o divergenze con riferimento al contesto storico-politico nazionale ed internazionale di allora caratterizzato sia dalla cosiddetta “guerra fredda” che dagli effetti drammatici della Rivoluzione cubana in America Latina.

 



Ed è proprio in questo particolare momento storico che assume rilevanza la “transizione al socialismo” del governo di sinistra di Allende, processo che si distingueva radicalmente dall’esperienza di Fidel Castro e Che Guevara sia per le modalità di conquista del potere (democratico in Cile, militare a Cuba), sia per il successivo esercizio dello stesso, ed è per questi motivi che Kissinger temeva un “effetto Cile” su tutto il subcontinente che avrebbe destabilizzato la regione più di quanto avesse fatto la “mitica” esperienza cubana.

 



La transición dell’Unidad Popular, divisa al suo interno tra il moderatismo politico del Partido Comunista e l’estremismo rivoluzionario del Partido Socialista e dei partiti dell’estrema sinistra, fra i quali il Movimiento de Izquierda Revolucionaria, rappresentava un progetto di ampia portata che comprendeva tanto l’aspetto istituzionale quanto economico, tanto sociale quanto culturale. I punti cardini erano la nazionalizzazione delle miniere di rame e salnitro di cui l’80% della produzione apparteneva alle multinazionali straniere (perlopiù statunitensi), la creazione di tre Aree economiche: sociale, mista e privata, nelle quali comprendere le industrie del paese, la rottura del sistema latifondista a vantaggio delle famiglie più povere, insomma la costruzione di un avanzato Stato sociale in grado di tutelare gli interessi della collettività.

 



Su tutte emerge la riforma costituzionale della struttura politico-istituzionale, il cui progetto (Un Estado democrático y soberano. Mi propuesta a los chilenos, pubblicato postumo perché introvabile per due decenni e purtroppo incompleto) non venne mai presentato al Congresso in quanto sopravvenne il golpe che fu anticipato di qualche giorno dagli ufficiali traditori proprio per evitare che il Presidente potesse convincere alcuni settori delle Forze Armate a non intervenire più. In estrema sintesi, Allende proponeva il perseguimento di un quanto mai originale modello politico-economico, che rappresentava un quid per la tradizione (e la teoria) socialista internazionale: “il Cile -disse il Presidente nel suo primo messaggio al Congresso- è oggi la prima nazione della terra chiamata a conformare il secondo modello di transizione verso la società socialista”, differenziandosi da quello basato sulla “dittatura del proletariato” e sulla “via armata”. Si apprestava a compiere, assieme alla coalizione della Unidad Popular, un’opera di avanzamento e di perfezionamento, tanto nella pratica quanto nella teoria, delle elaborazioni del socialismo latinoamericano, che era stato così originalmente formulato, in contrapposizione alla settaria visione Kominternista, per la prima volta nella storia del Sudamerica degli anni Trenta dal peruviano José Carlos Mariátegui e, successivamente nel caso del Cile, dal socialista Eugenio González.

 



La peculiarità della transición, come emerge puntualmente dall’analisi di Mulas, si  basava sul rigoroso rispetto della legalità e delle norme costituzionali che mai vennero violate nell’arco dei tre anni dal governo Allende, come invece fece l’opposizione composta dalla corrente reazionaria-golpista della Democracia Cristiana e dal Partido Nacional, che immediatamente pochi giorni dopo la vittoria di Allende (4 settembre 1970) si mobilitarono in strettissima collaborazione con la CIA e con l’amministrazione Nixon per evitare -soprattutto illegalmente- l’insediamento del neo-presidente. Questa ingerenza nelle questioni politiche cilene (e non solo) caratterizzerà -come documenta la ricerca- tutto l’arco del triennio, contribuendo ad inasprire lo scontro politico-ideologico per mezzo di continui finanziamenti illeciti sia alle forze politiche dell’opposizione che ai mass-media, sia alle multinazionali che ai diversi gruppi terroristi, fino al golpe dell’11 settembre 1973 che aprì, contrariamente a quanto credevano i democristiani cileni, ad una delle dittature più repressive e crudeli dell’America Latina.     

 



In Italia, dove una parte della Sinistra era da sempre attenta ai peculiari processi politici latinoamericani grazie anche all’impegno politico-intellettuale di Lelio Basso (che la ricerca di Mulas ha il merito di far emergere per la prima volta), Berlinguer prende spunto dalla drammatica esperienza cilena per formulare la strategia del “compromesso storico”, tesa ad evitare uno “scontro frontale” tra conservatori e moderati che assumesse forme tali da favorire una saldatura del complesso delle forze “che si situano dal centro all’estrema destra”, cioè il caso cileno. Come descrive Mulas, tutta la politica berlingueriana, nel solco della continuità con Togliatti, non fu più caratterizzata dalla giustapposizione tra una peculiare “via nazionale” e l’ancoraggio internazionale ai principi e alle appartenenze tradizionali, ma dalla ricomposizione di un ruolo in grado di combinare l’elemento nazionale e quello internazionale, modificando soprattutto il secondo. Berlinguer non prese soltanto atto della collocazione dei comunisti italiani nel mondo, ma si pose il problema di offrire una risposta dei comunisti alla crisi e alle emergenze dell’Italia degli anni Settanta, integrando il quadro politico della democrazia italiana, quale aspetto di un cambiamento più generale della politica europea dopo la fase acuta della “guerra fredda”.

 



In questo senso Mulas interpreta il distante avvicinamento con Aldo Moro che, consapevole degli effetti internazionali di un possibile coinvolgimento del PCI al governo, cercò nelle “convergenze parallele” di segnare una possibile (non ben delineata) strada comune con Berlinguer. Il segretario comunista, proprio per evitare la polarizzazione cilena, lavorava per una “alternativa democratica” la cui realizzazione subì una battuta d’arresto prima con l’omicidio del Presidente Moro e poi con la politica anti-comunista di Craxi che si alleò con la corrente anti-morotea della Democrazia Cristiana.

 



Offrendo un quadro esauriente delle forze politiche all’interno della conventio ad excludendum, Mulas si sofferma sulla valutazione del sistema geo-politico bipolare e i relativi condizionamenti nell’applicazione del progetto berlingueriano. L’analisi dell’Autore, superando il presunto problema della “doppia lealtà”, si basa sull’idea che Berlinguer rimase fedele al principio togliattiano della “unità nella diversità”, nella convinzione che provocare una rottura del movimento comunista internazionale avrebbe compromesso le chance in possesso dei comunisti italiani al fine di esercitare un’influenza politica e culturale in favore di un cambiamento di altri partiti, compreso quello sovietico, senza per questo migliorarne le posizioni nella società nazionale. Secondo questa interpretazione Berlinguer, fino alla fine, fu convinto che l’idea di una rottura con Mosca avrebbe costituito un passo falso, indebolendo il ruolo e l’identità del comunismo italiano.      

 



Mulas sottolinea che, conosciuti questi limiti, il PCI cercò di ritagliarsi un ruolo di maggiore autonomia dentro il movimento comunista internazionale, consapevole che “scegliere la via democratica non vuol dire, dunque, cullarsi nell’illusione di un’evoluzione piana, senza scosse della società dal capitalismo al socialismo”, e da questo punto di vista sono stati cruciali due episodi: l’intervento sovietico a Praga (1968) e il colpo di Stato in Cile (1973). Gli avvenimenti della Cecoslovacchia dimostrarono infatti l’illusorietà della speranza di un’evoluzione democratica dei paesi comunisti e contemporaneamente la scarsa propensione dell’Occidente ad incoraggiare e sostenere processi di questo tipo. Il Cile d’altro canto dimostrò in modo drammatico come, anche all’interno del campo occidentale, il cambiamento politico incontrasse un confine oltre il quale, nell’epoca della guerra fredda non era lecito spingersi, e tutta la politica del “compromesso storico” costituisce una dimostrazione di come la consapevolezza dell’invalicabilità di tale limite sia profondamente introiettata dal gruppo dirigente del PCI.

 



L’interessantissima ricerca si conclude evidenziando che paradossalmente, per i casi della storia, la strategia del “compromesso storico” che Berlinguer aveva ideato per l’Italia, fu invece compiuta in Cile con la costituzione della Concertación de Partidos por la Democracia, coalizione che riuniva diciassette partiti tra cui Democrazia Cristiana e Partito Socialista, e che sconfisse al referendum del 1988 il dittatore Pinochet ed ancora oggi continua a governare il paese.

 


4 commenti:

fenicevoices ha detto...

sempre breve e conciso eh? ;)
ArabaFenice

fenicevoices ha detto...

sempre breve e conciso eh? ;)
ArabaFenice

caiovibullio ha detto...

Araba Fenice....sì;) e ringrazia il cielo che torno da una giornata lavorativa di 13 ore, altrimenti potrei approfondirti alcuni aspetti che non mi sembrano ancora ben focalizzati;)
un sorriso, Caio

caiovibullio ha detto...

Araba Fenice....sì;) e ringrazia il cielo che torno da una giornata lavorativa di 13 ore, altrimenti potrei approfondirti alcuni aspetti che non mi sembrano ancora ben focalizzati;)
un sorriso, Caio