giovedì 30 marzo 2006

ancora Montale


FELICITA' RAGGIUNTA, SI CAMMINA


Felicità raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s'incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t'ama.


Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
e' dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case



 


E' strano come il terreno quest'anno si sia coperto di trifoglio. Eppure io non l'ho mai seminato e nemmeno mio padre e, per quel che ne so, nemmeno mio nonno ed il padre di mio nonno. La natura fa da sé, fa crescere quello che vuole. Riaccompagnati a casa gli operai sono tornato lì, verso sera ed ho acceso un falò per bruciare vecchie tavole marce. I lavori sono a buon punto, finalmente hanno potuto mettere la guaina sul solaio che è pronto per le tegole ed anche il casaletto di fronte ha assunto un altro aspetto, finito almeno all'esterno, anche se dentro...chissà quando sarà. Non me ne sarei andato mai, stasera, tanto stavo bene, in solitudine coi miei pensieri, fumando qualche sigaretta ed attizzando il fuoco. Sgomberando la cantina sono venute fuori cose che avevo dimenticato: il seggiolone verde di legno di quando ero bambino, il collare di Leo, il mio setter più bello e più bravo. Se c'era una beccaccia sola, in tutto il bosco, me la stanava e me la faceva uscire proprio in faccia. Poi, se per caso la mancavo, mi si accucciava di fronte, mugulando dispiaciuto. Sono andato a caccia per 42 anni, la prima volta che ho sparato con una doppietta ne avevo sei. L'ultima...quarantotto, senza rimpianto. Non sono riuscito a separarmi dai miei fucili, sono ancora in casa, un po' trascurati ma ci sono. Al paese, poi, ci sono anche quelli di mio padre, assieme a vecchie cartucce, bilancino, borre di sughero, sacchetti di piombo. Mio padre mi aveva insegnato a fare le cartucce ed ero bravo. Il segreto stava nel farle assolutamente identiche, nella carica e nel borraggio. Solo il piombo doveva variare, più piccolo o più grosso a seconda della preda, pochi grammi di più o di meno a seconda del tempo. Di meno con pioggia o scirocco, di più col freddo e la tramontana o in montagna. Alle volte si decideva la sera, alle volte si aspettava l'alba, per caricarle, alzandosi un'ora prima di uscire. A chi mi chiede perché non ci vada più rispondo di solito che è perché mi è venuto a mancare il tempo. Non è vero, è la voglia che è mancata mentre è sopraggiunta, invece, una inaspettata compassione per quelle che prima vedevo come prede e poi finalmente come esseri viventi, come me, con il loro diritto di vivere, a modo loro.

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