giovedì 8 aprile 2010


BROCARDO per Piccerella


 Avvertenza: non mi ricordo dove l'ho preso, nel caso l'autore
dovesse risentirsi di questa pubblicazione me lo faccia presente
che lo tolgo!


Questa categoria raccoglie i brocardi, ossia le massime latine della Giurisprudenza.
Non sono da considerarsi brocardi i modi di dire del gergo giuridico, come ad esempio de facto o  de cuius .
 
Il brocardo o brocardico è un principio giuridico, tanto conciso quanto chiaro, come ad esempio Dura lex, sed lex.
Esistono più ipotesi sull'origine di questo curioso termine, una delle quali lo riconduce al nome del giurista Burchardus di Worms (965/1025), vescovo di Worms (teoria liquidata dal Savigny), il quale ne creò una raccolta delle più note, detta Brocardica o Regular Burchardicae. Da qui entrarono poi nell'uso comune grazie alla scuola dei glossatori di Bologna, attiva nei secoli XII – XIII. Altra corrente di pensiero, respinta dal Kantorowicz, fa discendere il termine da una corruzione delle parole "pro e contra". Funzione del brocardo, indipendentemente dall' etimologia, consiste nell'enucleare dalle leggi principi, chiamati "generalia", ai quali vengono contrapposti le fonti che li suffragano e li contrastano, appunto, "pro e contra". La prima testimonianza in volgare dell'uso del termine risale al 1314, con Francesco da Barberino
"Se' tornato Jurista? 
Dolce e piana fa vista
e non troppo allegando,
leggi multiplicando.
Né curar di broccardi,
ma cerca y casi e tardi
'adira o far contesa
con chi l'à prima impresa,
ch'uno experto è più dextro
che tu di leggi presto."

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A Deo rex, a rege lex
A communi observantia non est recedendum
Abrogata lege abrogante non reviviscit lex abrogata
Abusus non tollit usum
Abusus non tollit usum
Accessorium sequitur principale
Actio libera in causa
Actio nondum nata non praescribitur
Actore non probante, reus absolvitur
Ad probationem
Ad substantiam
Adfines inter se non sunt adfines.
Adfinitas in coniuge superstite non deletur
Affirmanti incumbit probatio
Alterum non laedere
Audi alteram partem:
Audiatur et altera pars
Aut dedere aut punire
Caveat emptor
Cogitationis poenam nemo patitur
Condicio sine qua non: lett.:
Contra legem facit qui id facit quod lex prohibet
Cuique suum,
Cuius regio, eius religio
De minimis non curat praetor
Dies a quo non computatur in termino, dies ad quem computatur
Do ut facias
Dura lex, sed lex:
Emptio non tollit locatum
Error comunis facit ius
Ex lege
Ex nunc
Ex tunc
Excusatio non petita, accusatio
Ficta confessio
Fructus sine usu esse non potest
Fumus boni iuris
Genus numquam perit
Habeas corpus 
Ignorantia legis non excusat
In claris non fit interpretatio
In dubio pro reo
In illiquidis non fit mora
Inadimplenti non est adimplendum,
Inaudita altera parte
Iudex iuxta alligata et probata iudicare debet
Iura novit curia
Ius primae noctis
Lex est quod populus iubet atque constituit
Lucrum cessans,
Mala fides superveniens non nocet
More uxorio
Mutatis mutandis
Nec vi, nec clam, nec precario
Neminem laedit qui suo iure utitur
Nemini res sua servit,
Nemo iudex in causa sua
Nemo plus iuris ad alium transferre potest quam ipse habet
Nemo pro parte testatus pro parte intestatus decedere potest
Nemo tenetur se detegere
Non bis in idem
Non omne quod licet honestum est,
Nullum crimen sine culpa
Nullum crimen, nulla poena sine praevia lege poenali
Pacta sunt servanda
Prior in tempore, potior in iure.
Qui iure suo utitur, neminem laedit 
Quod non est in actis non est in mundo
Salus populi suprema lex esto,
Semel heres semper heres
Si vera suntea quae complexa es
Stare decisis
Sublata causa, tollitur effectus
Sui iuris
Summum ius, summa iniuria
Superficies solo cedit
Tam dixit quam voluit
Tantundem eiusdem generis
Tempus regit actum
Tertium non datur
Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit
Unum castigabis, centum emendabis
Ut res magis valeat quam pereat
Volenti non fit iniuria,
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A Deo rex, a rege lex (traduzione: Da Dio il re, dal re la legge) è una locuzione latina usata in ambito giuridico. Descrive il principio della Monarchia assoluta, in cui il sovrano rivendica per diritto divino il potere di stabilire le leggi dello stato.  Uno dei monarchi che rivendicò tale principio fu Giacomo I d'Inghilterra, primo re sia di Scozia che d'Inghilterra. Figlio unico della regina di Scozia Maria Stuarda fu proclamato sovrano ad appena tredici mesi di età, sebbene il paese continuasse ad essere governato da reggenti. Nel 1585 con il sostegno della cugina Elisabetta I d'Inghilterra riuscì ad avere il sopravvento sulla nobiltà scozzese. Fu un sovrano apprezzato anche se il cattivo uso dei fondi del regno e il circondarsi di una corte discutibile contribuirono non poco al divampare della successiva guerra civile inglese.
 
A communi observantia non est recedendumè una locuzione latina che significa "Non ci si deve allontanare dall'opinione comune".  È una norma di comportamento fondata sul principio che, in caso di dubbio, ci si deve attenere nei giudizi e nelle azioni ai pareri e agli usi condivisi dal sensus communis, senza discostarsene troppo ("non est recedendum").
 
Abrogata lege abrogante non reviviscit lex abrogata è una locuzione latina che, tradotta letteralmente, significa“abrogata la legge abrogante, la legge abrogata non ritorna in vigore”. È un principio del Diritto romano.
Questo, che viene detto anche Brocardo, si riferisce ad un quesito importante circa le relazioni fra le norme in un sistema giuridico e per inverso, in senso più ampio, richiama, o forse ribadisce, l'esclusività della riserva normativa spettante al legislatore ed il divieto di ricorso a fonte deduttiva della norma: ad esempio, nel sistema giuridico qui sintetizzato, si suppone che sia esistita una legge "A", che si sottintende intenzionalmente ed espressamente composta dal legislatore, poi abrogata da una legge "B", altrettanto intenzionalmente ed espressamente composta dal legislatore.
Quando la legge "B" venisse abrogata da un'ipotetica legge "C", sempre dal legislatore, questa abrogazione non restau-rerebbe di per sé stessa la legge "A", ciò che sillogisticamente ci si potrebbe attendere, poiché nei sistemi in cui questo broccardo trova riscontro si richiede sempre che ogni e ciascuna norma sia comunque espressamente dichiarata dalle fonti autorizzate, mai dedotta (almeno in rango di norma, poiché l'interpretazione della norma si nutre ordinariamente di deduzione).
In sostanza, la legge può intervenire su altre leggi solo quando questa è l'espressa volontà del legislatore, in mancanza della quale nessuno è autorizzato a trarre conclusioni per via deduttiva.   Vi è perciò, in questa visione, solo una possibile eccezione alla massima, e cioè quando la seconda legge abrogativa (la "C" dell'esempio) contenga precisa ed espressa (e non sottintesa) menzione di volontà di ripristino della legge originaria (la "A").
Il broccardo si congegna insieme all'altra celebre massima secondo la quale "Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit ", per la quale "quando la legge ha inteso [regolare qualcosa], lo ha detto, quando non ha inteso [regolare alcunché] ha taciuto": in questo caso, se la seconda legge abrogativa ("C") non ha menzionato l'eventuale ripristino delle previsioni della legge originaria ("A"), ha taciuto sul punto (e si deve intendere: "volendo tacere", oppure "non avendo intenzione di non tacere"), dunque spetterà al legislatore esprimersi in argomento, ma solo se riterrà di farlo.
 
Abusus non tollit usum:  tradotta letteralmente, significa “L'abuso non vieta l'uso” (massima del diritto antico).
Significa che una cosa si può usare, anche se può esistere chi ne fa abuso. Ad esempio, il fatto che alcuni abusino del vino, non significa che il suo uso moderato non sia legittimo.
 
Accessorium sequitur principale esprime un principio di diritto civile in virtù del quale la cosa accessoria segue la sorte del Bene (diritto) principale. Applicazioni di tale principio si hanno nell'art. 818 del codice civile in materia di pertinenze. Gli atti e i rapporti giuridici che hanno per oggetto la cosa principale comprendono anche le pertinenze, se non è diversamente disposto.
 
Actio libera in causa indica il fenomeno che si verifica allorquando taluno si pone in stato di incoscienza al fine di commettere un reato o di procurarsi una scusante. In tal caso viene applicata la pena sebbene chi abbia commesso il fatto era in stato di incapacità di intendere e di volere al momento del compimento della condotta.
La teoria delle actiones liberae in causa era già utilizzata in Diritto canonico dai moralisti della tradizione cristiana per giustificare l'applicazione della pena nei casi di peccati commessi da soggetti incapaci di intendere o di volere, che si erano posti volontariamente in stato di incoscienza al fine di commettere il peccato o di scusarne la condotta.
San Tommaso scriveva già che: «ebrietas voluntaria in sua causa non excusatur totaliter a peccato, nec totaliter excusat sequens peccatum». L'ubriaco dunque doveva rispondere non solo dell'ubriachezza, ma anche di ogni atto illecito commesso nello stato di ubriachezza, sebbene compiuto con incoscienza. Nel Diritto italiano la teoria è stata accolta nell'art. 87 del Codice penale ai sensi del quale: «la disposizione della prima parte dell'art. 85 non si applica a colui che si è messo in stato di incapacità di intendere e di volere al fine di commettere il reato o di prepararsi una scusa». In pratica i requisiti del dolo e della colpa vengono valutati non al momento in cui il soggetto compie l'azione, ma in un momento precedente, ossia quando il soggetto si pone in stato di incapacità. La ratio della teoria delle actiones liberae in causa sta allora nel principio causa causae est causa causati: chi determina volontariamente una situazione dalla quale deriva un evento lesivo, è chiamato a rispondere dell'evento stesso, a prescindere dalla eventuale volontarietà dell'evento.
 
Actio nondum nata non praescribitur (lett.: Un'azione non ancora nata non è soggetta a prescrizione) esprime il principio giuridicoin virtù del quale un diritto non (ancora) esercitabile non è soggetto a prescrizione.
L'espressione paradigmatica di tale principio è fornita dall'art. 2935 del codice civile, a norma del quale la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. Così, ad esempio, laddove un diritto sia sottoposto a condizione sospensiva la prescrizione non può decorrere che dall'avveramento della condizione.
Altra, più completa formulazione del brocardo è: Actio nondum nata toties praescribitur quoties nativitas eius est in potestate actoris
 
Actore non probante, reus absolvitur (lett.: Se l'attore non fornisce le prove, il convenuto viene assolto) indica un fondamentale principio giuridico in materia processuale, in virtù del quale colui che agisce in giudizio deve fornire le prove che stanno a fondamento del suo diritto. In caso contrario la vittoria della lite sarà del convenuto in giudizio. Il principio è espressamente previsto nel codice civile all'art. 2697: Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
 
Ad probationem è una locuzione latina, usata nel campo giuridico, che significa "Ai fini di prova". Più precisamente, in molti casi un contratto può essere valido anche se stipulato secondo una qualunque forma; l'osservanza di una certa forma serve in caso di giudizio, impedendo di utilizzare la prova per testimoni (art. 2725 del codice civile).
 
Ad substantiam significa lett. "ai fini della sostanza dell'atto" e in senso pratico "ai fini della validità dell'atto".
Quando il  Codice Civile afferma che un contratto richiede la forma ad substantiam, ciò significa che per essere valido esso deve essere fatto seguendo la forma indicata dalla Legge. Ad esempio, per vendere un bene immobile occorre necessariamente un atto scritto (atto pubblico o scrittura privata): quindi una testimonianza orale non sarebbe valida e il contratto sarebbe nullo.
 
Adfines inter se non sunt adfines (lett. gli affini tra di loro non sono affini) è un brocardo che in diritto esprime il principio secondo cui è giuridicamente irrilevante il rapporto intercorrente tra i parenti dei coniugi, essendo il rapporto di affinità limitato esclusivamente tra un coniuge ed i parenti dell'altro coniuge.
 
Adfinitas in coniuge superstite non deletur è un brocardo latino che significa che il rapporto di affinità (cioè il rapporto che lega un coniuge con i parenti dell'altro coniuge, (ad esempio i cognati) non cessa per la morte del coniuge da cui deriva.          La regola vale ancora oggi (v. art. 78, terzo comma del Codice civile italiano).
 
Affirmanti incumbit probatio (lett. "la prova spetta a chi afferma")esprime un principio giuridico vigente ancora oggi: è compito di chi accusa portare le prove delle proprie affermazioni, non di chi si difende.
Precedenti di tale principio si possono riscontrare nel Digesto (22, 3, 2), in cui si leggono le parole di Paolo: «Ei incumbit qui dicit, non qui negat» (spetta a chi dice, non a chi nega).
Anche nel Corpus Iuris Civilis (4, 19, 23) si legge una disposizione valida sia per Diocleziano sia per Massimiano, che esprime proprio tale principio: Actor quod adseverat probare se non posse profitendo reum necessitate monstrandi contrarium non adstringit, cum per rerum naturam factum negantis probatio nulla sit. (lett: "l'accusatore, dichiarando di non poter provare ciò che afferma, non può obbligare il colpevole a mostrare il contrario, perché, per la natura delle cose, non c'è nessun obbligo di prova per colui che nega il fatto").
 
Alterum non laedere (Trad. non recare danno ad altri)rappresenta una delle tre regole del Diritto descritte dal Giurista romano Eneo Domizio Ulpiano nelle sue Regole:
Digesto: 1.1.10pr «Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi. Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere alterum non laedere, suum cuique tribuere.» (Trad. "La giustizia consiste nella costante e perpetua volontà di attribuire a ciascuno il suo diritto. Le regole del diritto sono queste: vivere onestamente, non recare danno ad altri, attribuire a ciascuno il suo"). Frequentemente viene utilizzata con lo stesso significato la locuzione Neminem laedere.
 
Audi alteram partem: la locuzione tradotta letteralmente significa “ascolta [anche] l'altra parte.   "Ascolta anche l'altra campana" diciamo anche noi oggi quando ci sono riportati pettegolezzi e maldicenze.
 
Audiatur et altera pars (letteralmente: sia ascoltata anche l'altra parte)racchiude un fondamentale principio dell' Ordinamento giuridico, meglio noto come Principio del contraddittorio, espressamente previsto dal Codice di procedura civile all'art. 101 in virtù del quale "Il giudice, salvo che la Legge disponga altrimenti, non può statuire sopra alcuna domanda, se la parte contro la quale è proposta non è stata regolarmente citata e non è comparsa”.
Ma il principio del contraddittorio nel processo civile risponde anche - e soprattutto - dall'esigenza di garantire il rispetto del diritto inviolabile alla difesa previsto dall'ex art. 24, comma 2°, Cost., e dei principii del "giusto processo" di cui all'art.111, comma 2°, Cost., in base al quale ogni processo deve svolgersi nel contraddittorio tra le parti ed in condizioni di parità.
 
Aut dedere aut punire, in italiano “o estradare o punire”, esprime un principio accolto in numerose  convenzioni internazionali, secondo cui lo Stato, nel cui territorio si sia rifugiato un soggetto reo di taluni gravi crimini deve o giudicarlo secondo le proprie leggi, ovvero consentire all'estradizione richiesta da altri stati.
L'espressione venne coniata per la prima volta dal giurista Ugo Grozio nel 1642 nella formula originaria "Aut dedere aut punire". Tale formula è stata modificata successivamente in quella più corretta "aut dedere aut iudicare".
Il principio espresso in tale formula latina non ha natura consuetudinaria, dunque in assenza di una apposita convenzione internazionale in tal senso, vige il principio consuetudinario opposto, secondo cui lo Stato può ma non e' tenuto a sottoporre a giudizio e eventualmente a punire, può ma non e' tenuto a concedere l'estradizione.
 
Caveat emptorsignifica: "Stia in guardia il compratore!". Deriva dal verbo "caveo" che significa appunto "guardarsi", "stare attento", ma anche "provvedere" e "garantirsi".   L'espressione, nata in tempi in cui non vi era nessuna protezione legislativa rivolta agli attori economici, è rimasta attuale nel corso dei secoli. Sebbene il diritto giurisprudenziale, attraverso la disciplina della concorrenza sleale, abbia emesso delle regole che vietano tutti i comportamenti decettivi (volti cioè ad ingannare il pubblico) e disonesti (cioè contrari ai principi di buona fede, lealtà ed onestà), è buona abitudine ancora oggi porre attenzione al momento dell'acquisto di ogni bene o servizio. In particolare si dovrebbe prestare maggiore attenzione durante le occasioni d'acquisto più particolari e meno frequenti, quando cioè si compra un bene molto costoso o che esula dai quotidiani comportamenti di consumo.   L'espressione è divenuta quindi un brocardo, contenente la massima che richiede diligenza al compratore nell'accertarsi di cosa effettivamente vada acquistando ed apre al concetto dell'incauto acquisto.
 
Cogitationis poenam nemo patitur (Trad. nessuno può subire una pena per i suoi pensieri) esprime il cd. principio di materialità del Diritto penale. Secondo tale principio non può mai esservi reato, né di conseguenza pena, se la volontà criminosa non si materializza in un comportamento esterno. (Es. non è reato di omicidio il pensare di uccidere qualcuno).                     Il codice penale ha accolto il principio in esame in varie disposizioni:
- all'art. 115 laddove esclude la punibilità per le ipotesi di accordi o istigazioni che non siano seguite dal reato. La norma ribadisce che ai fini della sanzione penale non è sufficiente un'intenzione criminale ma sia necessaria una reale offesa del bene protetto.
 
Condicio sine qua non: lett.: "condizione senza la quale non [si può verificare un evento]".
La frase è generalmente usata per indicare un vincolo considerato irrinunciabile: ad esempio, "Condicio sine qua non perché io accetti la presidenza è che gli attuali candidati si ritirino". Si usa spesso anche la versione meno corretta, da un punto di vista grammaticale, conditio sine qua non: nel latino classico, infatti, "conditio,-onis" significa "fondazione, creazione" (come nella locuzione latina  “Ab Urbe condita”, vale a dire dalla fondazione di Roma) oppure "conservazione", mentre "condicio,-onis" significa appunto "condizione". La locuzione è diffusa anche in ambito legale, quando a qualche contratto, atto o scrittura in genere, si appone una clausola, una condizione, con l'aggiunta "sine qua, non", cioè condizione e clausola essenziale, senza la cui osservanza il contratto o atto stesso diventa nullo.
In materia di Diritto penale l'espressione condicio sine qua non identifica una teoria, detta anche teoria della equivalenza delle condizioni, formulata dal noto criminalista tedesco Von Buri nel 1873, secondo cui è causa di un evento ogni antecedente senza il quale, alla stregua di una valutazione ex post, l'evento stesso non si sarebbe verificato
 
Contra legem facit qui id facit quod lex prohibet (lett.: agisce contro la legge colui che compie ciò che la legge proibisce) è utilizzata in diritto per indicare il negozio contrario alla legge. È considerato tale il negozio in cui taluno compie un'attività vietata dalla legge.  La frase latina continua nel seguente modo: "in fraudem legis vero qui, salvis verbis, legis sententiam eius circumvenit" (lett: "contro la legge (agisce) colui che, fatte salve le parole, aggira la sostanza (della legge)"), distinguendo in tal modo il negozio contrario alla legge dal negozio in frode alla legge.
 
Cuique suum, tradotta letteralmente, significa “a ciascuno il suo”.
Aforisma della legislatura romana. Concorda con il precetto evangelico: Reddite Caesari quae sunt Caesaris, et quae sunt Dei Deo - rendete a Cesare quello che è di Cesare, ed a Dio quello che è di Dio.
 
Cuius regio, eius religio (A chi (appartiene) la regione, sua (sia) la religione). Si tratta di una espressione latina che ebbe grande rilevanza all'epoca della Riforma protestante e anche nei secoli successivi. Indica l'obbligo del suddito a conformarsi alla religione del principe del suo stato, sia essa protestante o cattolica. L'idea della religione di stato compare già in Armenia, ma comunemente si intende riferito alla storia europea del XVI e XVII secolo.
Venne usato nel trattato conseguente alla Pace di Augusta del 1555 dall'imperatore del Sacro Romano Impero Carlo V e dalle forze della Lega Smalcaldica per determinare la religione dell'Impero come coesistenza tra il luteranesimo e il cattolicesimo. Il principio sancito ad Augusta significava che i principi e le città libere avevano la libertà di introdurre la fede luterana (lo jus reformandi), e gli stessi diritti degli stati cattolici all'interno del Sacro Romano Impero. La popolazione di fede diversa dal principe, sia cattolica che protestante, doveva adattarsi alla sua religione oppure emigrare.
Esiste anche la variante Cuius regio, eius et religio; il termine ET ha in questo caso funzione rafforzativa (anche).
 
De minimis non curat praetor (tradotta letteralmente significa “il Pretore non si occupa di cose di ordinaria amministrazione”).   In senso figurato, indica il fatto che chi ricopre alte cariche non può tener dietro alle inezie. Il detto si usa anche per colpire la negligenza di qualche superiore che, oltre le cose piccole, non cura nemmeno le grandi. Il principio rileva in diritto a proposito della competenza per materia.
 
Dies a quo non computatur in termino, dies ad quem computatur indica il principio secondo il quale nel computo dei termini a giorni il giorno iniziale (cd. Dies a quo) non si computa, mentre va computato il giorno finale (cd. Dies ad quem). Ad esempio un termine di 7 giorni che decorre dall'11 Settembre scadrà il 18 Settembre e non il 17 come accadrebbe se si dovesse computare anche il giorno iniziale dal quale il termine comincia a decorrere.
Il Codice civile italiano ha accolto tale principio all'art. 2963, ai sensi del quale «Non si computa il giorno nel corso del quale cade il momento iniziale del termine...»
Il principio del dies a quo è presente anche nel codice di procedura penale, all'art. 1724 c.p.p..
 
Do ut facias [lett.  "io do affinché tu faccia"] definisce in Diritto romano uno dei cd. contratti innominati.
Si tratta di convenzioni a forma libera tutelate, in deroga il principio generale di tipicità vigente in materia contrattuale, a condizione che le prestazioni concordate siano entrambe lecite e che una di esse sia già stata eseguita. In presenza di tale requisito sorge per l'altra parte l'obbligo di adempiere la controprestazione.
Nel caso specifico, la prestazione già eseguita (do) consiste nella trasmissione del diritto di proprietà mentre la controprestazione (facias) può consistere in un qualsiasi altro comportamento.
 
Dura lex, sed lex: la frase, tradotta letteralmente, significa”legge dura, ma (è la) legge”.
È un invito a rispettare la legge in tutti i casi, anche in quelli in cui è più rigida e rigorosa. in quanto avendo come prospettiva il risanamento di gravi abusi lesivi del diritto, privato o pubblico, invita all'osservanza di leggi anche gravose in considerazione del beneficio della comunità.
Questo motto va riferito al periodo di introduzione delle leggi scritte nell'antica Roma. Fino ad allora le leggi venivano tramandate per via orale e quindi si prestavano molto alla modifica da parte dei giudici, che si rifacevano a tradizioni orali e quindi introducevano una sorta di arbitrio, perché erano loro i detentori del potere di riferire la tradizione orale. Così il motto significa: sebbene la legge sia dura, è una legge scritta, cioè uguale per tutti.
 
Emptio non tollit locatum letteralmente “l'acquisto non toglie la locazione” sta a indicare il principio secondo cui la locazione non cessa se la cosa è alienata. Esemplificando, secondo questo principio qualora il proprietario di un immobile locato venda a terzi la propria casa, la locazione non verrà meno.
L'art. 1599 del Codice civile stabilisce a tal proposito che «La locazione non cessa se la cosa è alienata anche a titolo gratuito, purché il contratto abbia data certa». Ma il principio in questione non trova applicazione in ogni caso nell'Ordinamento italiano: in caso di locazione di beni mobili la locazione non sarà comunque opponibile al terzo che abbia in buona fede conseguito il possesso della cosa; in caso di locazione di beni immobili la locazione se non è trascritta è opponibile al terzo acquirente solo entro il limite di 9 anni dall'inizio della locazione.
 
Error comunis facit ius, letteralmente significa “l'errore comune fa la legge”. La frase evidenzia la consuetudine di far diventare una regola gli errori che si commettono più spesso.
 
Ex lege letteralmente “Per legge” si utilizza in luogo dell'espressione "in esecuzione diretta di una norma".
Nel linguaggio giuridico viene utilizzata anche solo la particella "ex" seguita da un riferimento normativo per indicare che l'atto che si sta redigendo o il provvedimento che si sta adottando trova la sua legittimità in quanto esecutivo di quella norma a cui si riferisce.  Tale formula è di uso comune nel linguaggio giuridico per rafforzare il principio che gli effetti che ne derivano sono conformi all'ordinamento giuridico vigente.  In opposizione si usa la locuzione latina “contra legem” quando la fattispecie è in opposizione alla legge quindi illegittima.
 
Ex nunc letteralmente significa "da quel momento [in poi]".
Soprattutto con riferimento ad argomenti di diritto, e consuetamente contrapposta all'altra locuzione ex tunc, sta ad indicare che una determinata azione oppure giudizio, agisce “da quel momento”, in riferimento al principio della retroattività.
Per esempio si pensi ad una legge che abrogasse una legge anteriore. Se agisce “ex nunc”, allora agisce “da quel momento”, dalla data della entrata in vigore rimuovendo solo dall'emanazione in poi gli effetti della legge anteriore.
 
Ex tunc indica la retroattività dell'efficacia di un'azione, ossia la sua applicabilità “fin dall'inizio”.
Ad esempio, una legge posteriore che abroga una legge anteriore, se agisce ex tunc, allora agisce fin dall'inizio rimuovendo retroattivamente gli effetti della legge anteriore come se essa non fosse mai esistita.
 
Excusatio non petita, accusatio manifesta è una locuzione latina di origine medievale. La sua traduzione letterale è: "scusa non richiesta, accusa manifesta".
Il significato di questa locuzione è: se non hai niente di cui scusarti, non scusarti. Affannarsi a giustificare il proprio operato senza che sia richiesto può infatti venir recepito come un atteggiamento sospetto, un indizio del fatto che si ha qualcosa da nascondere.  Già San Girolamo, nelle sue lettere (Epist. 4) avvertiva: dum excusare credis, accusas ("mentre credi di scusarti, ti accusi").
 
Ficta confessio (letteralmente: confessione finta) indica un principio di diritto processuale secondo cui la mancata risposta all'interrogatorio  vale come ammissione dei fatti dedotti in interrogatorio.
Applicazioni di tale principio si rinvengono nell'articolo 232 del codice di procedura civile: Se la parte non si presenta o rifiuta di rispondere senza giustificato motivo, il collegio, valutato ogni altro elemento di prova, può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio.
 
Fructus sine usu esse non potest (letteralmente: non vi può essere frutto senza uso) indica un principio di diritto civile già noto ai giuristi romani secondo cui non vi può essere il diritto di raccogliere i frutti (fruire) senza che si abbia anche l'uso della cosa madre. All'inverso può esservi l'uso senza la possibilità di raccogliere i frutti.
 
Fumus boni iuris, in italiano «parvenza di buon diritto», indica un requisito necessario per ottenere l'ammissione a determinati benefici (ad esempio, il patrocinio  a spese dello Stato) o la pronuncia di determinati provvedimenti del giuidice  (ad esempio, i cosiddetti provvedimenti cautelari).
Si ha fumus boni iuris quando vi è la possibilità che il diritto vantato esista in concreto: l'esistenza di tale presupposto dovrà essere esaminata dal giudice, che deciderà in base appunto ai risultati dell'esame da lui compiuto.
Ad esempio, chiesta l'ammissione al patrocinio  a spese dello Stato, il giudice dovrà esaminare se vi sia il «buon diritto» del richiedente, se la pretesa ch'egli vuol far valere in giudizio non sia infondata o temeraria. Chiesto un sequestro, il giudice dovrà esaminare se vi siano delle circostanze  di fatto che facciano supporre l'esistenza di un diritto di credito.
 
Genus numquam perit (letteralmente: il genere non si esaurisce mai) esprime un principio giuridico del diritto civile in virtù del quale il debitore di un'obbligazione generica non è liberato dall'obbligo di adempiere la sua prestazione  in caso di perimento delle cose destinate all'adempimento dato che è sempre possibile eseguire la prestazione procurando altrimenti le cose dovute.
 
Habeas corpus  Nel sistema anglosassone di Common law si indica con la locuzione habeas corpus l'ordine emesso da un giudice di portare un prigioniero al proprio cospetto.
 
Ignorantia legis non excusat è molto nota per essere usata in ambito legale, in quanto denota la massima giuridica della presunzione di conoscenza della legge. Il suo significato letterale: «L'ignoranza della legge non scusa». La locuzione si trova anche nella forma «Ignorantia juris neminem excusat», l'ignoranza della legge non scusa nessuno.
Nata nel diritto romano, l'espressione sta ad indicare che è dovere del cittadino informarsi su cosa sia lecito e cosa no, e che quindi non si può accampare come scusante per avere violato la legge il fatto di non conoscerla. Uno dei requisiti della legge negli ordinamenti moderni è infatti la conoscenza della norma, che si dà per presunta: si presume che la legge sia sempre disponibile alla conoscenza del cittadino, anzi alla generalità dei cittadini. Il criterio è da considerarsi assoluto.
 
In claris non fit interpretatio è una locuzione latina che allude ad un canone interpretativo che può essere letteralmente tradotto in "nelle questioni chiare non si fa luogo a interpretazione". In uso già nel XII-XIII secolo nella Scuola dei glossatori di Bologna, l'applicazione di tale canone impone il divieto di precisare il contenuto di una norma ricorrendo ad argomenti extratestuali o a criteri ermeneutici.
Nell'ordinamento italiano, il principio "In claris non fit interpretatio", è codificato dall'art. 12 delle Disposizioni preliminari al Codice civile del 1942 (note anche come “Preleggi”), che recita: Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese del significato proprio delle sue parole secondo la cognizione di esse e della intenzione del legislatore.
 
In dubio pro reo: locuzione latina usata in ambito legale, dal significato letterale «nel dubbio, [giudica] in favore del colpevole».    Questa frase è nata nel diritto romano per indicare che è meglio che il giudice, quando non v'è certezza di colpevolezza, accetti il rischio di assolvere un colpevole piuttosto che condannare un innocente.  La frase viene anche usata nel linguaggio contemporaneo in senso più generale, quando si decide di fare qualcosa pur non essendone completamente convinti, oppure per consigliare a qualcuno di evitare di prendere decisioni affrettate. È un invito, insomma, ad essere possibilisti.
 
In illiquidis non fit mora letteralmente “non vi è ritardo nei crediti illiquidi” esprime un antico principio in virtù del quale fin quando un credito è illiquido (ossia non è ancora determinato nel suo ammontare) la prestazione non è esigibile e il debitore non può essere considerato in mora.
Tale principio non è più operante nel nostro ordinamento giuridico che anche per i crediti illiquidi fa decorrere il diritto alla prestazione prima della liquidità del credito. Si pensi all'art. 445 del codic civile  (gli alimenti sono dovuti dal giorno della domanda) e all'art. 1219 che statuisce la mora automatica per le obbligazioni derivanti dall'illecito.
 
Inadimplenti non est adimplendum, in italiano all'inadempiente non è dovuto l’adempimento, esprime un principio di diritto che trova il suo riferimento nell'articolo 1460 del codice civile: ciascuna delle parti di un contratto con prestazioni corrispettive può non adempiere la propria obbligazione ove l'altra parte si rifiuti di adempiere la propria. Il principio è vigente anche nel diritto internazionale (art. 60 par. 1 convenzione di Ginevra)
 
Inaudita altera parte [tradotta letteralmente significa: Non udita l'altra parte.]
Comunemente è usata in campo giuridico per indicare tutti i provvedimenti urgenti che il giudice emette per fronteggiare situazioni in cui il ritardo provocherebbe danno o rischio di danno a un interesse o diritto. In generale il sacrificio imposto deve essere commisurato all'entità del rischio o danno da scongiurare nel caso concreto.
Certamente è possibile definirlo come un'eccezione al principio generale del contraddittorio che impone la possibilità di contestazione in capo al soggetto sacrificato dal provvedimento giurisdizionale.
In special modo nel diritto penale assume una connotazione negativa in quanto antitetico al principio del contraddittorio, secondo il quale l'accusato ha diritto:
- ad assistere alla formazione della prova e presentare argomenti a suo favore;
- interrogare o far interrogare le persone che rendono dichiarazioni contro di lui in condizioni di parità con l'accusa;
- non essere giudicato colpevole sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta si è sempre sottratto al confronto (contraddittorio).
Il principio del contraddittorio così definito è stato al centro della modifica dell'art. 111 della Costituzione Italiana ed informa tutti i processi, non solo quindi quello penale (anche se in questo assume connotazioni puntuali). Lo si trova codificato anche nell'art. 101 del codice di procedura civile.  Storicamente, il principio nacque nel XVII secolo in Inghilterra come reazione alla prassi inquisitoria della Star Chamber, la Corte che giudicava i crimini contro la Monarchia.   In particolare, questo organismo aveva condannato a morte personaggi molto conosciuti, solo sulla base di confessioni rese in segreto, senza contraddittorio, e poi rivelatesi estorte con la tortura.
 
Iudex iuxta alligata et probata iudicare debet è una locuzione latina che significa: "il giudice deve giudicare (le controversie) secondo quanto allegato e provato" dalle parti del giudizio.
È analogo al brocardoQuod non est in actis non est in mundo.
 
Iura novit curia (traduzione: il giudice conosce le Leggi) esprime un fondamentale principio del diritto processuale moderno in virtù del quale le parti possono limitarsi ad allegare e provare i fatti costituenti il diritto affermato in giudizio, mentre la legge non deve essere provata al giudice, perché egli la conosce a prescindere da ogni attività delle parti.    Il principio era sconosciuto al diritto romano, nel quale erano le parti a dover citare davanti al giudice i brani di ius o di leges sui quali fondare il proprio diritto.
La legge 218/95 ha esteso il principio iura novit curia anche al diritto straniero.
 
Ius primae noctis(letteralmente diritto della prima notte) si intende il diritto di un signore feudale di trascorrere, in occasione del matrimonio di un proprio servo della gleba, la prima notte di nozze con la sposa. Questo diritto non fu mai statuito ufficialmente, né da parte delle autorità laiche (re, imperatori), né da parte di quelle ecclesiastiche. Esso nasce all'interno del rapporto di forte dipendenza dei servi della gleba verso il loro signore, dipendenza tanto forte che avrebbe consentito persino atti di violenza fisica.
 
Lex est quod populus iubet atque constituit risale al giurista romano Gaio, il quale nelle sue Istituzioni dà la seguente definizione di Lex cui accosta il Plebiscitum:  G. 1.3: «Lex est quod populus iubet atque constituit; plebiscitum est quod plebs iubet atque constituit». La Leggeè ciò che il popolo comanda e stabilisce. Il plebiscito è ciò che la plebe comanda e stabilisce.
 
Lucrum cessans, cui corrisponde in giurisprudenza e i diritto l'italiana lucro cessante, indica una forma del danno, ed in particolare una forma del danno patrimoniale.
Per alcune categorie di soggetti che abbiano patito un danno economico di natura patrimoniale, è in genere riconosciuta (sebbene con variazioni fra i diversi ordinamenti giuridici nazionali) la fattispecie di quel danno che impedisca al danneggiato di percepire una o più utilità economiche che avrebbe aggiunto al suo patrimonio se il danno non si fosse verificato.
Distinto quindi dal Damnum emergens ", danno emergente, che consiste nella diminuzione (In re ipsa riscontrabile) del patrimonio del danneggiato (o più frequentemente nella diminuzione del valore del complesso dei beni e dei diritti afferenti al patrimonio del danneggiato), il lucro cessante riguarda l'interruzione forzata, a causa del patimento di un evento dannoso, di un processo di produzione e/o procacciamento di utilità che, d'ordinario, avrebbe procurato al danneggiato un legittimo accrescimento patrimoniale.
La quantificazione pratica del lucro cessante, che si rende necessaria eminentemente in sede di risarcimento del danno, richiede di operare valutazioni non fondate su un quadro composto solo di elementi concreti, bensì sulla base di ragionevoli, e possibilmente attendibili, proiezioni ipotetiche. Si richiede perciò intanto la verifica dell'effettiva esistenza di un danno (punto sul quale la Suprema Corte appare sempre coerentemente orientata alla necessità di conforto probatorio), simulando i processi operativi e di scelta che il danneggiato avrebbe potuto legittimamente ed ordinariamente perseguire, nonché individuando con precisione quali concrete ed effettive possibilità non si siano tradotte nell'atteso e ricercato vantaggio, a causa dell'evento dannoso.
In questa fase la ricerca richiede perciò la ricostruzione in forma ipotetica delle possibili evoluzioni della situazione del danneggiato, avendo attenzione per quelle che ragionevolmente sia lecito supporre si sarebbero verificate (ed in qual modo e misura), senza l'interruzione provocata dal danno. Una simile indagine è evidentemente ben esposta al rischio di errore (eventualmente per non corretta assunzione dei termini di valutazione). così come è naturalmente soggetta alla soggettività dell'apprezzamento del singolo magistrato giudicate, ma la variabilità della fattispecie, insieme alla sua congenita indeterminabilità a priori, costringe a rimettersi, sul piano giudiziario, solamente all'equo apprezzamento delle circostanze del caso di specie.   In dottrina, il concetto di lucro cessante (già presente nel Diritto Romano) dà luogo a studi comparativi con il danno futuro ed il danno potenziale.
 
Mala fides superveniens non nocet (letteralmente la mala fede sopravvenuta non nuoce) sintetizza il principio di diritto secondo cui, in alcuni ambiti, la buona fede di un soggetto rileva esclusivamente al momento in cui il soggetto compie un atto, a nulla rilevando invece una mala fede successiva.
Un esempio di applicazione del principio mala fides superveniens non nocet è contenuto nell'art. 1147 del Codice civile italiano. Tale norma ai fini del possesso in buona fede richiede che questa vi sia stata al tempo dell'acquisto; non occorre, cioè, che la buona fede perduri per tutta la durata del possesso. È sufficiente la buona fede originaria, anche se il possessore abbia successivamente acquistato coscienza dell'esistenza di un diritto altrui sulla sua cosa.
 
More uxorio     locuzione che in italiano diventa una locuzione avverbiale.
La sua etimologia corretta è: secondo il costume (mōre) matrimoniale (uxōrio).
Intende:          - Come marito e moglie;
                       - di uomo e donna che, pur non essendo sposati, convivono
                       - vivere(o convivere) more uxorio
Come brocardo è entrata nel linguaggio del diritto.
 
Mutatis mutandis è una locuzione latina che significa "una volta che siano cambiate [le cose] che dovevano cambiare [o essere cambiate]".
L'espressione è propriamente usata ad indicare la modificazione di scenari o situazioni precedenti in correlazione con la necessità, o l'opportunità, di sottoporre a nuova verifica l'eventuale occorrenza di adeguare azioni ed interessi alle mutazioni intervenute. Sottintendendo la presenza di elementi di variabilità, la locuzione esprime anche significati comparativi, ed è per questa ragione che nel mondo anglosassone viene utilizzata con riferimento a scenari economici, quantunque con differente lettura del significato, che diviene attributo di coloro legati a comune destino in dipendenza di eventi comportanti modificazioni di comune contesto.
 
Nec vi, nec clam, nec precario" (che tradotta letteralmente significa: "non con la violenza, non di nascosto, non a titolo di precario") riassume le tre circostanze di acquisizione del possesso in presenza di una delle quali è negata al possessore la tutela interdittale.
 
Neminem laedit qui suo iure utiturè un brocardo del diritto romano che tradotto letteralmente significa: "Chi esercita un proprio diritto non fa male a nessuno".
Ciò implica che non è riconosciuta responsabilità civile al soggetto (persona fisica o giuridica) che cagioni un danno qualora questo sia arrecato nell'esercizio di un diritto ("ius") riconosciuto alla persona (o all'ente pubblico) cui è imputata la colpa del danno cagionato ("qui suo iure utitur").
La regola generale comporta quindi che l’esercizio del diritto è sempre legittimo e non può essere fonte di responsabilità.
Il principio del neminem laedere
Prendendo le mosse dalla proprietà, che sostanzialmente consiste nello ius utendi e non ius abutendi, si potrebbe dire al contrario "qui iure suo abutitur alterum laedit". Il predetto principio è peraltro correlato all'istituto della responsabilità civile, secondo il quale chi procura un danno lo deve risarcire (ai sensi dell'art. 2043 cod. civ.).
Secondo la dottrina civilistica, la responsabilità civile è ispirata all'esigenza di certezza del diritto; per la dottrina costituzionalistica, vi è l'esigenza di correlare e adeguare il significato del brocardo neminem laedit qui iure suo utitur ai nuovi valori emergenti nella coscienza collettiva e, tra questi, al principio di solidarietà sociale (di cui all'art. 2 Cost.) e alla funzione sociale della proprietà (di cui all'art 41 Cost.).
L'abuso del diritto
Il danno deve di conseguenza essere risarcito per legge se e solo se viene riconosciuta la responsabilità del soggetto, la qual cosa non avviene quando il danno è effetto dell'esercizio di un diritto di cui si gode, esercitato nei limiti (individuati dalla giurisprudenza) degli artt. 1175 e 1375 del codice.
Sono pertanto sanzionati come abusivi tutti quei comportamenti contrastanti con le regole della correttezza e buona fede nei rapporti obbligatori e contrattuali.
Allineandosi alla giurisprudenza francese del secolo scorso, l’art. 833 del codice è stato talora ritenuto dalla giurisprudenza italiana espressione di un principio più generale di divieto di esercizio abusivo del diritto.
Per il diritto romano, l’exceptio doli  era rimedio generale, in grado di sventare ogni forma di abuso del diritto.
 
Nemini res sua servit, letteralmente tradotto nessuno può servire una cosa propria, esprime il fondamentale principio giuridico in materia di servitù prediali secondo cui i fondi devono appartenere a proprietari diversi, non potendo costituirsi una servitù sopra una cosa che è propria.
Il principio si trova espresso in un brano di un commentario ad Sabinum di Paolo, conservatoci nel Digesto di Giustiniano (Dig.8.2.26 In re communi nemo dominorum iure servitutis neque facere quicquam invito altero potest neque prohibere, quo minus alter faciat (nulli enim res sua servit))
 
“Nemo iudex in causa sua” è una locuzione latina che stabilisce uno dei punti fondamentali del diritto processuale: la terziareità del giudice rispettoall'oggetto della lite.
Il dovere di neutralità è, infatti, una caratteristica essenziale della giurisdizione. Il principio che il giudice deve avere una equidistanza processuale rispetto alle parti costituisce un aspetto particolare del più generale principio dell’estraneità che la magistratura deve avere rispetto alle forze politiche ed economiche che operano nella società.
L'istituto attraverso il quale nel diritto italiano si realizza il principio del brocardo è quello dell'obbligo dell'astensione, con correlativo diritto di ricusazione.
Sul tema il C.S.M. (Sentenza del 19.9.2003/23.3.2004 n. 85/2003) si è così pronunciato: La disciplina dell'astensione del giudice trova fondamento nell'esigenza di garantirne l'imparzialità e la terzietà, che, anche alla luce del novellato art. 111 Cost., costituiscono requisiti essenziali del giusto processo e quindi della giurisdizione. Per questa ragione, secondo l'orientamento costantemente seguito da questa sezione e dalla Corte di cassazione, il dovere deontologico di astensione non è limitato alle sole ipotesi nelle quali è imposto dalla legge ma ha una portata più ampia e si estende a tutte le fattispecie in cui l'astensione stessa è solo consigliata dalle circostanze del caso concreto che rendano prevedibili sospetti di compiacenza o parzialità nell'esaminare e decidere una determinata questione, così da compromettere il prestigio del magistrato e dell'ordine giudiziario
 
Nemo plus iuris ad alium transferre potest quam ipse habet esprime un fondamentale principio di diritto civile secondo cui nessuno può trasferire ad altri un diritto maggiore di quello che ha.
Fonti:  La regola risale al giurista romano Domizio Ulpiano e la ritroviamo in un brano dei libri “Ad Edictum”, inserito dai compilatori giustinianei nell'ultimo libro del Digesto, dedicato alle regulae iuris: 50.17.54 Ulpianus libro 46 ad edictum - Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet.
 
Nemo pro parte testatus pro parte intestatus decedere potest (lett: "Nessuno può morire avendo fatto in parte testamento e in parte no") indica uno dei principi fondamentali in materia di successioni “mortis causa” nel Diritto romano.
Contrariamente a quanto avviene nel diritto italiano contemporaneo, i romani sancivano l'incompatibilità tra successione testamentaria (in presenza cioè di un testamento, inteso come documento scritto vero e proprio che attesti le volontà del “de cuius”) e Successione ab intestato (cioè senza un documento scritto: quella che oggi noi definiamo generalmente come legittima, in forza appunto delle sole disposizioni legislative). Al momento dell'apertura della successione, non potevano coesistere eredi testamentari ed eredi legittimi: poteva esistere o un testamento che doveva disciplinare completamente tutto il compendio ereditario oppure il de cuius poteva non lasciare nessun testamento e permettere alla legge di regolare tutte le attribuzioni del suo patrimonio. Le due discipline erano incompatibili.
Tutto questo non sussiste più nel nostro ordinamento attuale, in quanto è previsto che il testatore possa inserire alcune disposizioni nel suo atto e lasciare che la legge integri e completi il suo documento.
 
Nemo tenetur se detegere esprime il principio di Diritto processuale penale in forza del quale “nessuno può essere obbligato ad affermare la propria responsabilità penale”. L'Ordinamento giuridico nel bilanciamento degli interessi accorda preferenza alla libertà personale, ed all'onore della persona, piuttosto che all'interesse alla repressione dei reati, che sarebbe soddisfatto pienamente se tutti i soggetti del procedimento penale fossero obbligati a collaborare incondizionatamente con la Giustizia fino al punto di incriminare sé stessi.
Tale principio trova accoglimento nel Codice di procedura penale, che prevede diversi istituti finalizzati a garantire i diritti dei soggetti del procedimento penale.
Fra questi istituti si ricorda in particolare il “Privilegio contro l'autoincriminazione”, che viene riconosciuto all'indagato ed all'imputato: essi non sono tenuti a rispondere secondo verità alle domande che vengono loro poste, e possono perfino non rispondere. Non possono commettere in tal modo i reati di falsa testimonianza, false informazioni al Pubblico Ministero e favoreggiamento.
Il privilegio contro autoincriminazione è riconosciuto altresì ai testimoni, i quali possono opporlo qualora dalle risposte alle domande loro poste potrebbe emergere una propria responsabilità penale.
 
Non bis in idem o più frequentemente "ne bis in idem" tradotta letteralmente, significa “non due volte per la medesima cosa.”
Principio del diritto in forza del quale un accusato non può essere punito due volte per lo stesso delitto. Si applica alle sentenze passate in giudicato, per cui nessun giudice può esprimersi due volte sulla stessa causa. Nella vita di tutti i giorni la frase viene usata come monito a non ripetere due volte lo stesso errore.
 
Non omne quod licet honestum est, in italiano “non tutto quanto è (giuridicamente) permesso, è (moralmente) onesto,” esprime un principio di diritto risalente al giureconsulto romano Giulio Paolo. Essa è ricavata da un frammento tratto dal libro 62° del commentario Ad edictum del giurista romano e raccolto dai compilatori giustinianei nel Digesto (50.17.144) Il frammento contiene un elemento di limitazione alla considerazione assolutistica del diritto, insinuando il dubbio che non sia sempre quell’ars boni et aequi che i giuristi presentano come perfetta.
La massima, nell'uso che se ne è fatto in tempi successivi, lascia spazio sia all'ipotesi che il diritto ancora debba operare in molte materie, nelle quali per mancanza di norme si hanno situazioni di ingiustizia (delle quali profitta chi honestus non è), sia alla visione per la quale ciò che il diritto definisce e tutela è un quadro comportamentale parziale o anche viziato da impostazione non condivisibile.
Il brocardo è stato strumentalmente usato, al principio del Novecento, in occasione dello sviluppo della teoria sull'abuso del diritto.
 
Nullum crimen sine culpa è la locuzione latina che prefigura il c.d. “principio di colpevolezza”.
 
Nullum crimen, nulla poena sine praevia lege poenali rappresenta una massima fondamentale per il diritto moderno.
Creata dal giurista tedesco Paul Johann Anselm Ritter von Feuerbach si fonda sull'assunto che non può mai esservi un reato (e di conseguenza una pena), in assenza di una legge penale preesistente che proibisca quel comportamento.
Questo fondamentale principio proibisce in pratica la possibilità di leggi che, operando retroattivamente, considerino reati anche comportamenti che, al momento in cui avvengono, erano perfettamente leciti in quanto non vietati da alcuna norma.
Questo principio, meglio noto come principio di legalità, è positivizzato in un gran numero di costituzioni europee e in numerosi trattati internazionali. Ne sono esempi la Costituzione italiana, articolo 25 e la “Convenzione europea sui diritti dell’uomo”, articolo 7 (1).
La massima viene talvolta resa con tali differenti forme:
nullum delictum, nulla poena sine praevia lege poenali
nullum crimen, nulla poena sine praevia lege poenali
nullum crimen, nulla poena sine lege praevia
o abbreviata in tali modi:
nulla poena sine lege
nullum crimen, nulla poena sine lege
nullum crimen sine lege
 
Pacta sunt servanda esprime un principio fondamentale e universalmente riconosciuto del diritto internazionale generale sul quale si basano le relazioni internazionali tra gli Stati: i patti, i trattati, le intese o più in generale gli accordi degli Stati vanno rispettati.
L'art. 10 comma 1 della Costituzione italiana stabilisce che "L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute." Tale norma si riferisce appunto alle consuetudini  internazionali (assieme ad altre controverse fonti generali internazionali) sancendo l'obbligatorietà all'interno dell'ordinamento giuridico italiano di quest'ultime. Poiché "pacta sunt servanda" è appunto una consuetudine internazionale e come tale vincolante tutti gli stati (per l'Italia in virtù dell'art.10), autorevole dottrina (Quadri) è giunta a sostenere che anche ai patti debba conformarsi l'ordinamento giuridico italiano in ossequio al principio previsto dall'art.10. Se un patto non venisse rispettato dall'Italia, si violerebbe non già lo stesso patto ma al contempo una norma di rango costituzionale. Tuttavia a parte il riconoscimento di una impeccabile argomentazione logica, non si può, secondo altra parte della dottrina (Conforti), accettare una simile teoria in quanto la volontà del costituente nel redigere l'art.10 è chiaramente messa in luce dai lavori preparatori; nè potrebbe ipotizzarsi l'assurgere di un trattato internazionale a rango di norma costituzionale. Visto il proliferare degli accordi nei più disparati settori, si rischierebbe, accettando la visione del Quadri, di aggirare importanti garanzie costituzionali mediante la stipula di trattati. Discorso diverso può farsi per altri ordinamenti, quali ad esempio gli Stati Uniti d’America o la Francia nelle cui rispettive costituzioni è espressamente previsto l'adattamento ai trattati.
 
Prior in tempore, potior in iure è una locuzione latina che allude ad un canone che può essere letteralmente tradotto in "Primo nel tempo, più forte in diritto". In uso già nel XII-XIII secolo nella Scuola dei glossatori di Bologna, l'applicazione di tale canone impone, in caso di dispute tra due contendenti che vogliano entrambi usufruire di un medesimo diritto, di privilegiare colui che ne ha goduto per primo e che ne gode da più tempo.
L'espressione fu coniata dagli Imperatori Potior Augustus Valens detti Valentiniani, i quali erano indicati con il rango "Potior Augustus", da cui la Dinastia della Gens Potitia Pothos ovvero REX Desiderius, discendente di Gallia Placidia e di Costanzo.
Giurisprudenza: al principio "Prior in tempore, potiur in iure" ha più volte fatto ricorso la Corte Costituzionale. In tal senso, si veda, ad esempio, la sentenza n. 42/1986.
 
Qui iure suo utitur, neminem laedit  in diritto penale (letteralmente Colui che esercita un proprio diritto, non lede nessuno) indica una causa di giustificazione. È prevista nel Codice penale all'art. 51 sotto il titolo di esercizio di un diritto e sta a significare che colui il quale agisce esercitando un diritto che la legge stessa gli conferisce, non può realizzare un illecito penale.
Tale principio risponde ad una esigenza logica di evitare contraddizioni all'interno di uno stesso ordinamento giuridico, tale per cui mentre una norma facoltizzi un determinato comportamento, un'altra lo vieti.
Va sottolineato che la norma che prevede il diritto può provenire non solo dal diritto penale ma anche dagli altri rami dell'ordinamento, e può discendere finanche dalla consuetudine.
 
Quod non est in actis non est in mundo è una locuzione latina che si traduce con "Ciò che non esiste agli atti del processo non esiste al mondo".
 
Salus populi suprema lex esto, [tradotta letteralmente, significa la salvezza del popolo deve essere la legge suprema (Cicerone, De Leg., IV)].  Massima dell’antico Diritto romano che conserva sempre tutto il suo vigore, perché l’individuo deve scomparire quando si tratta del bene e dell’incolumità dello Stato.
 
Semel heres semper heres esprime un principio fondamentale del diritto successorio in virtù del quale una volta che si sia divenuti erede non è più possibile perdere questa qualità per rinuncia: una volta erede, sempre erede. La rinunica può esser fatta dal chiamato all’eredità solo fino al momento dell'accettazione.
 
Si vera sunt ea quae complexa es (letteralmente Se sono vere le affermazioni che sono state riassunte) accompagnava solitamente i rescritti imperiali e stava a significare che il rescritto stesso intendeva disciplinare solo il punto di diritto, con un provvedimento che aveva valore normativo, ma che non intendeva scendere nel merito del fatto.
Il rescritto imperiale aveva, infatti la forma della risposta ad un quesito, con la descrizione di un fatto, ma lo stesso non era oggetto di valutazione.
 
Stare decisis (dal lat.: "rimanere su quanto deciso") è il principio generale dei sistemi di Common law, in forza del quale il giudice è obbligato a conformarsi alla decisione già adottata in una precedente sentenza, nel caso in cui la fattispecie portata al suo esame sia identica a quella già trattata nel caso deciso. In questo modo i precedenti desunti dalle sentenze anteriori operano come fonte del diritto e, negli ordinamenti di common law, a tutt'oggi la maggior parte delle norme è prodotta proprio da questa fonte.
Va osservato che l'efficacia vincolante della sentenza precedente è limitata alla sola ratio decidendi, ossia agli argomenti essenziali addotti dal giudice per giustificare la decisione del caso a lui sottoposto o, secondo una diversa prospettiva, la norma giuridica generale, desumibile dalla sentenza, in base alla quale è stata assunta la decisione. Le rimanenti parti della sentenza, ossia le argomentazioni non essenziali, costituiscono i cosiddetti obiter dicta (sing. obiter dictum) ai quali non è riconosciuta efficacia vincolante ma solo persuasiva.
Lo stare decisis è un tipico esempio di produzione normativa giurisprudenziale; le norme così prodotte costituiscono la cosiddetta common law (in una delle molteplici accezioni del termine) o case
Con il distinguishing, invece, il giudice esclude l'applicabilità di uno specifico precedente al caso di specie, valutando le sottili differenze in fatto che possano marcare una distanza fra fattispecie portata al suo esame e fattispecie in passato decisa da altro giudice.
Con entrambe queste tecniche, il giudice legittima se stesso ad individuare autonomamente la regola del caso di specie.
La regola dello stare decisis non è presente nei sistemi di Civil law. È tuttavia ampiamente noto che la singola sentenza non decide soltanto il caso di specie di cui si occupa, facendo stato fra le parti, i loro eredi ed aventilaw, che si contrappone alla statutory law, costituita invece dalle norme prodotte dal Legislatore. La statute law è ritenuta prevalente sulla common law, tuttavia l'impostazione spiccatamente casistica del sistema tende a ridurre la portata di questa prevalenza, circoscrivendola ad un'azione derogatoria delle norme di produzione legislativa su quelle di produzione giurisprudenziale; questo spiega il caratteristico stile di redazione delle leggi negli ordinamenti di common law, con norme estremamente dettagliate.
Si distingue lo stare decisis orizzontale da quello verticale: il primo si ha quando il giudice si conforma ad una precedente pronuncia già emanata dal suo stesso ufficio; il secondo si ha quando il giudice si conforma ad una precedente pronuncia emanata da un giudice a lui superiore, per competenza o per funzione.
Per evitare la vincolatività della regola dello stare decisis, i giuristi di common law hanno elaborato essenzialmente due tecniche: l' overruling ed il distinguishing.
Con l' overruling, il giudice riconosce l'identità del fatto fra fattispecie portata al suo esame e fattispecie in passato decisa da altro giudice, ma ritiene di non poter applicare la medesima regolazione che essa ha avuto in diritto, perché nel caso di specie, contraria all'equity. causa, ma ha anche una più o meno incisiva forza persuasiva, in genere promanante dall'autorità del giudice che l'ha emanata e, ancor di più, dalla solidità della linea argomentativa seguita.
 
Sublata causa, tollitur effectus(lett. significa che eliminata la causa, viene meno anche l'effetto che essa determinava). Viene talvolta citata in relazione con la tematica del giudizio controfattuale ed in connessione alla “teoria condizionalistica”. [La Teoriacondizionalistica spesso indicata come teoria della "condicio sine qua non" è il cardine dell'imputazione dell'illecito nell'ambito della teoria generale del diritto. Nell'ordinamento giuridico italiano, essa trova pieno riconoscimento nell'art. 40, I comma c.p. dove si legge che "nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione". Si sostiene pertanto che un fatto è causato da un'azione od omissione quando, eliminando mentalmente l'antecedente, viene meno il conseguente. Il procedimento di eliminazione mentale, svolto a mezzo di un giudizio ipotetico controfattuale, è il mezzo tecnico attraverso cui si valuta la sussistenza del nesso condizionalistico.
In altri termini, se (ipotesi) si elimina mentalmente il fatto che si suppone essere stato "causa" (andando quindi "contro il fatto" per come esso si è verificato) si può ragionevolmente sostenere che l'effetto non si sarebbe potuto verificare, ne deriva che quel fatto antecedente è la causa dell'effetto conseguente].
 
Sui iurisè una frase latina che letteralmente significa “del proprio diritto”. Di solito si pronuncia sui juris nell'uso civile per indicare competenze legali, la capacità di condurre i propri affari. La parola "autonomo" è derivata dalla parola greca che corrisponde al latino sui iuris.
Uso del termine nella Chiesa cattolicaDocumenti ecclesiastici quali il Codice dei canoni delle chiese orientali applicano il termine latino sui iuris alle chiese particolari o ai riti che insieme compongono la Chiesa cattolica. Quella di gran lunga più grande tra queste comunità sui iuris o Chiese autonome è la Chiesa latina (o Rito latino). Le altre Chiese particolari sono chiamate Chiese cattoliche orientali o Riti orientali: ognuna di esse, se abbastanza grande, ha il suo Patriarca o capo della gerarchia, con autorità su tutti i vescovi di quel rito.
Lo stesso termine viene applicato anche alle "missioni sui iuris": si tratta di quelle missioni che, anche se mancano del clero sufficiente a venire istituite come prefetture apostoliche, per vari motivi vengono dotate di autonomia e non appartengono quindi ad alcuna diocesi, vicariato apostolicoo prefettura apostolica. Nel 2004, esistevano undici di queste missioni. Tre nell'Atlantico: Isole Cayman, Isole Turks e Caicos, e Sant'Elena, Ascensione Tristan da Cunha. TDue nel Pacifico: Funafuti (Tuvalu), e Tokelau. Sei nell'Asia Centrale: Afghanistan, Baku (Azerbaijan), Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan, e Uzbekistan.
 
Summum ius, summa iniuria è una locuzione latina il cui significato letterale è "somma giustizia, somma ingiustizia", oppure "il massimo del diritto, il massimo dell'ingiustizia". Cicerone (De officiis, I, 10, 33) la cita come espressione proverbiale. Una espressione analoga si trova infatti già in Terenzio (Il punitore di se stesso, IV, 5): Ius summus saepe summa est malitia: somma giustizia equivale spesso a somma malizia.
L'espressione indica che una applicazione acritica del diritto  - che non tenga conto delle circostanze a cui le sue norme devono essere applicate nel singolo caso e delle finalità a cui esse dovrebbero tendere - può facilmente portare a commettere ingiustizie o addirittura costituire strumento per perpetrare l'ingiustizia.
 
Superficies solo cedit racchiude un principio giuridico risalente al Diritto romano, secondo il quale tutto ciò che viene costruito sul suolo altrui ne costituisce un incremento e quindi spetta al proprietario del suolo.
Troviamo già menzione del principio nelle Istituzioni di Gaio: G. 2.73 «Praeterea id, quod in solo nostro ab aliquo aedificatum est, quamuis ille suo nomine aedificauerit, iure naturali nostrum fit, quia superficies solo cedit» (Trad. Inoltre tutto ciò che sul nostro suolo è edificato da qualcuno, sebbene sia stato edificato in nome proprio, sarà per diritto naturale nostro, poiché la superficie accede al suolo). Analogo concetto si ritrova in alcuni frammenti dei digesta D.9.2.50 (Ulp. 6 opin.): «naturale ius, quid superficies ad dominum soli pertinet» (Trad. è per diritto naturale che la superficie pertiene al proprietario del suolo), e D. 43.17.3. 7. (Ulp., 9 ed.): «semper enim superficies solo cedere» (Trad. sempre infatti la superficie accede al suolo).
Il principio superficies solo cedit è stato accolto dalla maggior parte degli ordinamenti giuridici moderni. Il codice civile italiano lo ha recepito agli articoli 934-937 dedicati all'accessione quale modo di acquisto della proprietà a titolo originario.
 
Tam dixit quam voluit    Trattasi di brocardo latino per lo più applicabile alla sfera del diritto, meglio conosciuto come "quod Lex voluit, dixit", ossia "ciò che il Legislatore voleva dire (con una norma giuridica) lo ha espressamente detto".  Si usa nelle ipotesi in cui si voglia sostenere che una determinata norma giuridica deve essere applicata secondo il significato letterale delle parole, senza ricercare una interpretazione estensiva (lex magis dixit quam voluit) o restrittiva (lex minus dixit quam voluit) della stessa norma
 
Tantundem eiusdem generis (scritto anche tantumdem eiusdem generis) è una locuzione latina che significa "lo stesso ammontare di generi della stessa qualità".   È un brocardo del diritto che indica l'obbligo da parte di una persona a restituire quanto gli sia stato prestato nella medesima quantità, specie e qualità.
 
Tempus regit actum (in italiano "il tempo regge l'atto") è una locuzione latina usata in diritto per identificare il principio dell'irretroattività della legge penale e il divieto di ultrattività della stessa, comportando che un reo deve essere giudicato con la legge del momento in cui fu commesso il reato o prosciolto se questo al tempo non era considerato tale.
In diritto processuale penale vige lo stesso principio, ma non riferito al momento della commissione del reato bensì allo svolgimento del procedimento.
 
Tertium non datur (traduzione: un terzo (o una terza) non è dato/a) è una locuzione che appartiene al repertorio delle celebri frasi in lingua latina entrate a pieno diritto nel patrimonio culturale mondiale e non solo in quello italiano.
Sta a significare che una terza soluzione (una terza via, o possibilità) non esiste rispetto a una situazione che paia prefigurarne soltanto due.
Si potrebbe leggere quindi come: Non ci sono altre alternative eccetto queste due.
L'articolazione della frase, nella sua secchezza e laconicità, è piuttosto semplice: dove datur è la terza persona singolare passiva del verbo dare (quindi = "è dato") e tertium figura come aggettivo neutro (perciò non indicativamente maschile oppure femminile) sostantivato. La negazione non compare con lo stesso uso che ne fa la lingua italiana.
PRINCIPIO DEL TERZO ESCLUSO (Vedi Principio di bivalenza)
L'espressione entra nella formulazione del principio logico del terzo escluso, che afferma che una proposizione P è o vera o falsa, non esiste una terza possibilità (Tertium non datur). Esso si trova già formulato nella Metafisica di Aristotele. La fondazione della matematica, in particolare attraverso la scuola intuizionistica,  non ne dà oggi per scontata l'autoevidenza, anzi, esistono logiche alternative che negano esplicitamente la sua validità, ad esempio la logica fuzzy. È importante evidenziare la differenza con il Principio di non contraddizione (o di consistenza).
 
Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit(trad. "Dove la legge ha voluto ha detto, dove non ha voluto ha taciuto") è un brocardo latino usualmente evocato a proposito dell'interpretazione della legge.
Se infatti in un disposto normativo non è stata espressamente prevista una fattispecie o non è stato analizzato un determinato aspetto, si deve presupporre che il legislatore non lo abbia voluto normare e che pertanto, in difetto di norma, non si debba procedere ad interpretazioni estensive.  Il brocardo richiama perciò l'interprete ad attenersi scrupolosamente al testo della norma, evitando di dedurre conseguenze dal silenzio.
 
Unum castigabis, centum emendabis  letteralmente "Ne castigherai uno, ne correggerai cento", che si può rendere liberamente come "punire un errore vale correggerne cento".
In epoca moderna, con lo stesso significato, è più usato il detto di Mao Zedong Colpirne uno per educarne cento, che è stato, tra l'alto, ripreso anche dall'organizzazione terroristica delle Brigate rosse.
 
Ut res magis valeat quam pereat   È il principio giuridico in base al quale l'interpretazione delle clausole deve essere orientata nel senso in cui tutte possano avere qualche effetto anziché in quello in cui talune non ne avrebbero avuto alcuno. È un principio volto alla massima preservazione dei vincoli giuridici, che tende a salvare il vincolo piuttosto che scioglierlo. Il principio è consolidato anche nelle elaborazioni di diritto privato comparato (Principles Of European Contract Law, Art.5.101 ) (Unidroit principles, Art 4.1)
 
Volenti non fit iniuria, tradotta letteralmente, significa “a chi acconsente, non si fa ingiuria.
Questo principio di diritto nega l’esistenza dell’offesa quando una persona ha consentito ad un’azione. Chi consente, non ha più diritto di lamentarsi.
In Diritto penale la locuzione, espressa anche con l'espressione nulla iniuria in volentes, rappresenta una causa di giustificazione, codificata all'art. 50 del Codice penale secondo cui non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto con il consenso della persona che può validamente disporne.
 
 

34 commenti:

alidada ha detto...

certe volte sono proprio contenta di essermi dedicata totalmente alla matematica .. mamma mia che dissertazione!Buonanotte Caio, ti lascio ai tuoi latinismi..

harmel ha detto...

ehehCaiooooqua devo pigliarmi le ferie per leggere tuttosenza alcuna garanzia di capirci qualcosa!!!!ma che t'ha pijato???il Ctrl V compulsivo????e poi me lo dovevi dire..che mi mettevo in ghingheri per l'occasionetipo così .........

caiovibullio ha detto...

Licia, lo so che la matematica è bella ma...si può imbrogliare di meno, molto di meno che col latinorumComunque questo post era un omaggio all' avvocata calabrotta;), volevo ricondurla alla professionalità, visto che nel suo blog continuava a dissertare di Lato B e lato A;)*Harmel, che carina!:)Spe che ti faccio vedere pure io 'na cosetta.

harmel ha detto...

ma che bella foto!:-)miii..se penso a quando si laurerà mia figlia in legge!ma sai che nella sua università i neolaureati son costretti dagli amici a fare di tutto????innanzitutto appena dopo la proclamazione inizia un coroche finisce con un vaff***e poi partono le penitenzegente costretta a berepigliare botteprese in giroaddirittura un amico di mia figlia è stato costretto a sedersi su una panchina in mutande!!!lei stà già assoldando delle guardie del corpo!:-)))io credo chemi porterò un bastone..menerò il rpimo che la tocca!!!

caiovibullio ha detto...

hahaha:)Beh, alla Sapienza non c'è più il folklore goliardico di una volta. Comunque entrambe le volte sono venuti i suoi amici e l'hanno sommersa di fiori.Io invece mi laureai in sordina, come si usava negli anni 70. Anzi mia madre voleva fare i confetti ma glielo proibii. Però volle accompagnarmi, lei sola e comunque fu una giornata indimenticabile perché mentre stavamo scendendo dalla macchina dopo aver parcheggiato un furgone delle Poste sfuggito al controllo del conducente ci rovinò addosso portandomi via il muso della R5. Insomma, invece di andare nell'Aula Magna rischiai di andare in sala di rianimazione!Per fortuna noi ne uscimmo illesi mentre il tizio delle Poste si beccò belle borzate in testa da mamma;)

harmel ha detto...

ahahahcaioma allora che l emamme stanno agitate e pronte a difendere i propri figli nel giorno della laurea sarà una legge universale???mi sà che è il conducente delle poste che ha rischiato la rianimazione!!la R5...mitica! :-)

caiovibullio ha detto...

Eh sì, credo sia un fenomeno universale;)E poi, capirai, mia madre ha verso di me un atteggiamento protettivo ancora adesso che ho 60 anni! Pensa che  a Natale ed al mio compleanno...mi fa la mancetta!;)

harmel ha detto...

buona la mancetta!la metti nel porcellino salvadanaio!poi ti ci compri le liquirizie!:-)che tipo tua mamma!:-))io chiudo che vado a nanna!buona notte !:-)

gabbianobianco ha detto...

Ummaròò.. ma quanto hai copia-incollato?? Era una scommessa o cosa?

caiovibullio ha detto...

diciamo che era uno scherzo anche se a me ste cose piacciono:)

harmel ha detto...

un giorno lo leggerò sto post!con calmaaaamoooolta calma!! :-PP

caiovibullio ha detto...

hahaha:)" lento pede" mi raccomando;)( confesso che probabilmente nemmeno io li ho letti tutti) però mi piacciono;) )

harmel ha detto...

ehehe allora mo' visto che manco tu li hai letti tuttimi considero dispensata dal farlo io!!!avanti il prossimo post please ! :-))))notte Caiuzz ! :-)

harmel ha detto...

non illuderti ehnon son venuta a leggere il postoramai è nu puntiglio! :-)))son passata solo ad augurarti una sereno sabato

caiovibullio ha detto...

Beh, cara, ti dirò, sino ad ora non è stato malaccio, salvo che per i decespugliatore nuovo che non si voleva accendere!Per fortuna mi ha soccorso mio cugino e poi ho tagliato un 500 mq d'erba.Ma sono riuscito pure ad andare dal barbiere. Alle 20 esco, ho un invito al teatro dell'aeroporto. Poi forse mangerò qualcosa con la compagnia teatrale, come d'uso.Buona serata:)

harmel ha detto...

dal barbiere?ma come?avevi già in mano il decespugliatore????non sai ottimizzare tu!!! :-)))Buona digestione!psma stai sempre a mangià!!!!

caiovibullio ha detto...

Ehm, non ho soltanto mangiato...ho pure bevuto!E mo mi gira un po' la capoccia;)

harmel ha detto...

vabbètanto stai a casa no?te la ricordi la strada che te porta a letto???attento se tra le scale ce stà la polizia stradale con l'etilometro!!!:-PP

caiovibullio ha detto...

Ah, fortuna che non guidavo io. Ho bevuto 3 bicchieri di vino e due diversi liquori. In caso di etilometro il palloncino sarebbe salito in cielo con attaccato me e pure la volante!;)

harmel ha detto...

è il mischiare le cose che fa diventare alticcimagari i bicchieri di vino non fanno nienteè il liquore che ti taglia le gambe!:-Pehehte che voli con la volante volante attaccata! :-))

caiovibullio ha detto...

Domani ho un invito a pranzo che sarà una prima assoluta: mi hanno invitato i genitori del fidanzato di mia figlia. Sono persone a posto ma confesso che pur conoscendoli da qualche anno mi sento alquanto in imbarazzo a causa di questa " ufficializzazione".;)

harmel ha detto...

mhhhhhhhhhnon ti invidio affattoooo!!!!eheh buona fortuna!!!andrà tutto bene dai!passato il primo momento di impaccio poi ci si scioglie!Buona notte caioa domani!:-)psnun andà a sbattere!!! :-))

caiovibullio ha detto...

No no, che sbattere! Però da qui al piano di sopra c'è la scala a chiocciola, mi girerà vieppiù la testa!Buonanotte:)

harmel ha detto...

ahahahla scala a chioccioladomani te troveranno avvitato alla scala!!metti in bella vista il numero di telefono del fabbro!!! :-)))

piccerella ha detto...

solo ora ho letto che mi hai dedicato un post!!allora mi vuoi bene?quanto?io non leggerò mai e poi mia tutto il post.è troppo lungoooooooooooooooooo ed io non leggo quelli che superano i 10 righi (o righe?dimmelo tu, prof!)insomma non lo leggerò per  lunghezza ma soprattutto perché li conosco tutti grassie, Caio!

harmel ha detto...

ahhhhhhe manco picci lo legge sto post?? :-)))e jamme bell sulo aggiorniamo????

caiovibullio ha detto...

Cara piccerella e che, dopo tanti anni che ti conosco dubiti ancora del mio affetto per te? Certo che ti voglio bene!:)Credo che si possa dire in entrambi i modi, tranquilla!:)Ma non sapevo che la tua curva dell'attenzione fosse così breve quindi la prossima volta che ti dedicherò un post ci metterò soltanto un haiku o al massimo un tanka;)

gabbianobianco ha detto...

Un post a fumetti sarebbe l'ideale! :-)))

caiovibullio ha detto...

ecco, sì, per picci ce vònno i disegnini;)

piccerella ha detto...

i disegnini ma a colori eh!quelli in bianco e nero vanno interpretati poi!

nellabrezza ha detto...

...no ero solo passata a vedere se qualcuno aveva commentato un tal post...ce ne vuole di coraggio.e.n.b.

caiovibullio ha detto...

Ehi, salve. Oggi è stata una giornata demm...ma ringraziando il cielo siamo ancora vivi.Ciao e.n.b. :) beh, è stato un post in cui non c'è nulla di mio anche se sono espressioni che non mi suonano nuove.Era uno scherzo, dedicato a piccerella, che è avvocato. Però, dai, un po' di commenti li ha avuti:)Statti bene:)

nellabrezza ha detto...

ehh lo so! certe volte sono trooopoooo seria. io già pensavo che ci fosse qualcuno/a più seria di me e lo leggesse..considerato l'argomento...un mucchio di commenti veramente!! tutti dissertori...e.n.b.

caiovibullio ha detto...

Hahaha ma figurati, la picci!;)è vero che è avvocato e so che se la cava pure bene ma qui nel web è la leggerezza fatta persona e forse è proprio per questo che mi piace tanto:)