giovedì 17 novembre 2005

seconda puntata.........aho', dopo me pagate, eh;)Però, come spesso accade nel mondo della scienza e della tecnica fu proprio la guerra a dare il maggiore impulso all’Aeronautica, sia in Italia che all’estero.
E’ del 1 agosto1907 la creazione di una sezione aeronautica della US Signal Corps in America e sempre nel 1907 viene fondata la prima azienda produttrice di aerei militari.
Il primo aeroplano italiano, progettato da Aristide Faccioli e pilotato dal figlio Marco volò a Torino il 13 gennaio 1909.
Nello stesso 1909 sono già attive in Italia fabbriche di aeroplani. Pochissime a dire il vero, non più di otto fino all’inizio della guerra.
All’Italia tuttavia spetta quasi subito un primato mondiale: quello dell’impiego di un aereo in missione di guerra: il 23 ottobre 1911 in Libia un Bleriot italiano compie una missione di ricognizione sul territorio controllato dai nemici.
L’anno successivo, il 27 giugno, nel corso della guerra Italo Turca viene costituito il “battaglione aviatori” ed aerei vengono impiegati contro le truppe nemiche.
Nel 1914 fu costruita,al lungotevere Michelangelo a Roma, la galleria del vento a doppio ritorno: era una vera e propria meraviglia dal momento che riusciva a produrre un vento di 200 km orari, velocità che ancora nessun aeroplano aveva raggiunto e per questo motivo veniva visitata da tecnici e scienziati provenienti da tutto il mondo.
E infine occorre ricordare che fu italiano uno dei più grandi e studiati precursori della teoria che il dominio dell’aria sarebbe stato decisivo nel futuro della storia militare: il Gen. Giulio Douhet.
La Grande Guerra vide l’impiego degli aerei su larga scala, sia per la ricognizione che per il bombardamento che per la caccia. Vennero prodotti decine di migliaia di aerei da parte delle Nazioni belligeranti e da subito l’aviazione fu protagonista della guerra.
La prima guerra mondiale iniziò tra la fine di luglio ed i primi di agosto 1914. Il 30 agosto un aereo tedesco bombardò Parigi, causando le prime due vittime civili. Il 5 ottobre ci fu il primo duello con l’abbattimento di un aereo. Il 24 dicembre gli aereo tedeschi bombardarono per la prima volta una città inglese: Dover.
Il 7 gennaio 1915 si costituisce il Corpo Aeronautico Militare. Nello stesso anno l’Italia scende in guerra contro l’Austria e la Germania ed il 27 giugno 1915 si ha il primo duello aereo sul fronte italiano tra un Aviatik austriaco e un Nieuport italiano.
Nasceva il mito degli Assi dell’Aria, si contavano le vittorie, i nemici abbattuti.
Ma si moriva anche, si moriva spesso: la guerra consumava non soltanto i mezzi ma anche gli uomini. E non erano uomini qualunque, non erano fanti contadini ai quali si poteva mettere in mano un 91/38 e mandare in trincea.
Erano ufficiali e sottufficiali provenienti dall’esercito e dalla Marina che si accingevano a diventare cavalieri dell’aria con un addestramento né semplice né breve, cui venivano affidati mezzi e armi spesso sperimentali ma comunque costosi e complicati, come per gli antichi cavalieri medioevali.
Così, mentre la neonata industria bellica aeronautica faceva sforzi incredibili per soddisfare la richiesta di aerei in numero sempre crescente, sempre più veloci, sempre più armati, l’Esercito Italiano, come gli altri eserciti belligeranti dovette creare decine e decine di campi di volo e di addestramento, sia in prossimità del Fronte che nel resto d’Italia.
Basta solo pensare che durante la disfatta di Caporetto furono ben 22 i Campi d’Aviazione italiani a cadere in mano nemica.
Riportiamo di seguito uno stralcio di ciò che il grande Italo Balbo ebbe a scrivere sull’importanza degli aviatori italiani nella Grande Guerra:
………….Un eroe soprattutti, l'“Asso degli Assi”, un figlio della generosa Romagna, Francesco Baracca, si coprì di gloria e divenne il beniamino della Nazione nella lotta per rintuzzare le audacie avversarie, nel cacciare dal cielo i velivoli austriaci e tedeschi. Egli abbatteva gli aeroplani nemici con la foga di un mietitore. Egli era l'incubo degli aviatori austriaci. Ben 34 velivoli nemici aveva abbattuto quando per una suprema audacia si era abbassato sul Montello per mitragliare le truppe austriache e cadde, nel giugno, con l'apparecchio incendiato sullo stesso piccolo monte che porterà eternamente scolpito il suo nome fatidico.
Ricordiamo, accanto al grande “Asso”, gli altri nostri “Assi”: capitano Scaroni con 36 velivoli abbattuti, generale Ruggero Piccio con 24 velivoli abbattuti, tenente Flavio Baracchini (testé scomparso a Roma in una tragica accidentalità) con 21 velivoli abbattuti, il capitano Ruffo di Calabria con 20, i tenenti Cerutti e Ranza con 17 apparecchi, il tenente Olivari con 12, il tenente Ancillotto con 11. Dovunque, sia fra i “caccia”, sia fra i bombardatori, come fra quelli della ricognizione, il valore e l'alto spirito di sacrificio brillarono di luce fulgidissima. Potrei raccontare episodi singoli che dimostrano come la volontà e il coraggio fra gli aviatori italiani, sia piloti, sia osservatori, sia mitraglieri, non fosse un'invenzione retorica, ma una realtà viva e palpitante. Non ce n'è bisogno. Tutti sanno che ancora oggi la passione aviatoria è più viva che mai in mezzo alla gioventù italiana.
E veniamo al volo su Vienna, che è legato al nome del più grande poeta della nuova Italia, e che resta il più lungo volo collettivo compiuto durante la guerra fra tutte le nazioni belligeranti. Il raid, che comportava circa 1.000 km fra andata e ritorno, di cui 800 in territorio nemico, era stato preparato minuziosamente e diligentemente da lungo tempo.
Fu effettuato il giorno 9 agosto con apparecchio esclusivamente italiano, col famoso “Sva”. Quel giorno, alle 9 del mattino, i buoni viennesi ebbero la straordinaria sorpresa di vedere a 800 metri di altezza sulle loro teste una squadriglia di 8 aeroplani italiani che volteggiava in formazione triangolare lanciando messaggi e manifesti sulla capitale in luogo di bombe micidiali. La sorpresa fu enorme. Dal terrore e dal panico i viennesi passarono ben presto ai bons mots, come ebbe a scrivere la Frankfurter Zeitung. I manifesti lanciati dagli Italiani andarono a ruba. D'Annunzio presagiva ai viennesi la fine dell'Impero: «Il destino si volge. La vostra ora è passata». Lo stile dell'impresa, la gentilezza latina erano scolpite nella finale dell'alato messaggio: «Sul vento della vittoria che si leva dai fiumi della libertà non siamo venuti se non per la gioia dell'arditezza, non siamo venuti se non per la prova di quel che potremo osare e fare quando vorremo, nell'ora che sceglieremo». Il volo su Vienna dimostrò che la capitale dell'Impero non era più sicura poiché era raggiungibile da parte dell'Aviazione italiana e inoltre offrì la prova della nostra indiscussa superiorità aviatoria. Da un punto di vista politico e psicologico questo volo ebbe un'enorme ripercussione sull'avversario del quale disgregò il morale e ne affrettò la catastrofe.
Ma tutto ciò, come ho accennato, non era frutto del caso o del semplice ardimento: era frutto di un'organizzazione e di una preparazione. Nel 1918 l'Aviazione italiana si era riorganizzata con criteri più razionali e corrispondenti alla natura dell'Arma aerea. Si era fatta quella che si può chiamare la concentrazione delle forze. Si era creato un comando unico con delle norme di coordinamento nell'impiego delle varie specialità. Le squadriglie da bombardamento furono messe a disposizione diretta del Comando Supremo. Per la “caccia” si stabilì una massa che, adoperata con direttive uniche, seppe mantenere il dominio del cielo. Tutti i velivoli di qualsiasi specialità furono muniti di bombe: fu predisposto l'impiego di masse di aeroplani di ogni specialità, per la prima volta si organizzò il mitragliamento a bassa quota delle artiglierie nemiche mediante squadriglie di aeroplani da caccia. Lo “Sva” fece miracoli.
Gli effetti di questa organizzazione e della nuova disciplina si videro nelle due grandi ultime battaglie del giugno e dell'ottobre.
Nel giugno 1918 gli austriaci tentarono la suprema offensiva che doveva — nei loro disegni — annientare ogni resistenza italiana.
L'Aviazione tenne al corrente il Comando della preparazione avversaria. La disperata violenza dell'attacco austriaco riuscì a rompere in più punti il nostro fronte e 60 ponti furono gettati sul Piave sui quali numerose truppe nemiche passarono prendendo piede nelle nostre prime linee. Ma gli austriaci non poterono sviluppare il successo iniziale per il fuoco formidabile che l'Artiglieria e l'Aviazione italiane, in perfetta armonia, scaraventarono sui ponti, sulle truppe e sulle batterie avversarie. La massa dei velivoli da caccia, sotto le direttive del comando unico, paralizzò ogni tentativo dell'Aviazione austriaca e ci diede, fin dal secondo giorno della memoranda battaglia che durò 10 giorni, la padronanza assoluta del cielo su tutto il fronte. La nostra Aviazione abbatté in quella battaglia 107 apparecchi austriaci. Noi ne perdemmo 9. La parte decisiva sostenuta nei giorni del Piave dalla nostra Aviazione è confermata da unanimi confessioni di ufficiali austriaci fatti prigionieri. Come risulta da documenti del Comando Supremo, «causa del ripiegamento dell'Esercito austriaco furono le enormi perdite da esso subite e l'impossibilità di rifornirsi sia di viveri che di munizioni, e ciò a causa dell'Aviazione italiana che incessantemente mitragliava la zona dei ponti».
La tenace infrangibile resistenza italiana sul Piave capovolse la situazione generale di tutta l'Intesa.
Tre mesi dopo l'Italia iniziò quell'offensiva che diede il colpo di grazia non solo all'Esercito austriaco, ma di contraccolpo all'Esercito imperiale tedesco. Fu il segno della rotta.
Prima del 24 ottobre, giorno dell'inizio della battaglia di Vittorio Veneto, l'Aviazione mantenne il dominio del cielo con numerose incursioni, con ricognizioni importantissime, con servizi di collegamento, con bombardamenti e disturbi dell'avversario che servirono a fiaccarne ogni velleità e ogni residua speranza.
Nei giorni della battaglia, nonostante le avverse condizioni atmosferiche, l'Aviazione prese parte giornalmente alla lotta suprema con 600 aeroplani più 70 apparecchi della Regia Marina. Di giorno e di notte le posizioni austriache furono colpite e paralizzate. Al terzo giorno gli aviatori austriaci dovettero sgombrare i campi vicini al fronte e scomparire dal cielo d'Italia. L'Aviazione italiana, liberatasi dagli aeroplani avversari, si diede al combattimento a bassa quota contro le truppe austriache. Poiché nei primi giorni della battaglia, a causa della piena del Piave, si erano rotti i ponti e le nostre truppe che avevano passato il fiume erano rimaste tagliate dal resto dell'Esercito, gli aeroplani lanciarono viveri e munizioni che permisero la resistenza fino alla riattivazione delle comunicazioni. Anche questa fu una nuova attività della nostra Aviazione, sempre pronta e agile a tutte le necessità. La massa da bombardamento e quella da caccia, con le loro azioni intense, ma collegate all'azione delle truppe, servirono a determinare lo sfondamento irreparabile delle linee nemiche.
Ricorderò solo che l'Aviazione in quei giorni lanciò sul nemico 200 tonnellate di bombe. Divise le armate del monte da quelle del piano, il ripiegamento dell'Esercito austriaco era fatale. Ma questo ripiegamento, a causa dell'irruenza italiana, si convertì immediatamente in una rotta

2 commenti:

fenicevoices ha detto...

interessante ;)

caiovibullio ha detto...

grazie, fenicevoices, lo prendo come incoraggiamento;)